Skip to main content

Vi spiego perché il rigorismo di Merkel sarà sconfitto dai numeri

Altiero Spinelli disse una volta che l’Europa unita deve tutto a Monnet, incluso il fatto di essere nata sbagliata. Spinelli aveva in mente una costituente europea sul modello di quella americana e un impianto democratico, non tecnocratico. Spinelli perse, Kojève e Monnet vinsero.
I popoli, come insegna l’esperienza cinese, accettano volentieri forme ridotte di democrazia e sovranità finché viene dato loro in cambio un benessere crescente. Le elezioni italiane mostrano che nel momento in cui questo benessere non è più percepito l’accettazione del patto politico europeo inizia a venire meno.

Il malcontento europeo verso la Germania

Il malcontento si indirizza vero la Germania e non verso l’eurocrazia perché in questi ultimi anni la Germania, capendo che si sta avvicinando il momento di non ritorno in cui dovrà iniziare a trasferire enormi risorse al resto del continente, ha cercato di alzare il prezzo della sua resa imponendo ai partner un risanamento strutturale. Questo risanamento, indebolendo i partner, li ha resi ancora più dipendenti dalla Germania ma ha leso in modo grave il consenso di tutti, tedeschi e non tedeschi, al progetto comune.

I criteri base dell’Ue che esistono solo sulla carta

Non solo l’Europa è costruita male, ma anche l’euro. Un’area valutaria ottimale è definita da quattro criteri, ovvero mobilità del lavoro, mobilità dei capitali e flessibilità dei salari, trasferimenti fiscali automatici redistributivi e simultaneità dei cicli economici tra i Paesi dell’area.
La mobilità del lavoro c’è sulla carta, ma non c’è in pratica. I capitali sono stati fin troppo mobili negli anni scorsi e ora lo sono troppo poco. La flessibilità dei salari è quasi inesistente. I trasferimenti automatici, che in un’area che funziona dovrebbero essere temporanei, al momento non esistono e, quando ci saranno, avranno natura permanente. La simultaneità del ciclo è
completamente saltata.

Un costo sempre più alto per la Germania

I politici europei, a questo punto, si trovano in mezzo al guado in una posizione molto scomoda che solo la Merkel ha qualche interesse a prolungare per mantenere il consenso elettorale di cui gode. Il rischio del rinvio dell’unione dei trasferimenti è che il costo per la Germania diventi alla fine
sempre più alto. La progressione del debito pubblico dell’Eurozona è stata rallentata con enorme fatica, ma la mancanza di crescita economica e la crisi di consenso rischiano da un momento all’altro di farla riesplodere.

La fantateoria del disavanzo strutturale

L’estrema delicatezza del momento sta già inducendo la Germania ad allentare vistosamente la pressione sui partner. La Spagna ha potuto produrre a consuntivo un disavanzo 2012 superiore al 10 per cento e da Berlino sono arrivate solo espressioni di incoraggiamento e fiducia. Gli obiettivi 2013 verranno mancati in tutta l’Eurozona, lo si sa già e ci si volta dall’altra parte. Ai tempi di Theo Waigel il disavanzo doveva essere sotto il famoso tre-punto-zero sia in tempi di boom sia in tempi di carestia. Oggi si è adottato il disavanzo strutturale, che è l’equivalente per gli Stati dei fantastici modelli di Basilea 2 che le banche usano per valorizzare i loro titoli ai prezzi che preferiscono. Se avessimo le ruote saremmo tutti dei tram e andremmo anche velocissimi. Il caso vuole che le ruote non le abbiamo, ma non fa niente.

I problemi delle banche centrali nel mondo

Anche la Bce si appresta a tornare in campo. Per ora lo fa con un discorso di Draghi che richiama nei toni aggressivi quello storico di luglio. In caso di richiesta, è lecito supporre, l’Omt verrà concesso a qualsiasi governo italiano a condizione che abbia la cortesia di non dichiarare esplicitamente che mancherà gli obiettivi concordati da tempo con Bruxelles. Bernanke sta già facendo la sua parte dissipando ogni dubbio sulla durata del Qe. Giappone e Inghilterra si
daranno da fare e la Cina, sempre terrorizzata dall’Europa, toglierà subito, verosimilmente, quel piede che stava iniziando a posare dolcemente sul freno per paura di un riavvio dell’inflazione immobiliare.

L’articolo completo si può leggere qui.



×

Iscriviti alla newsletter