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I 5 punti che mancano al programma di Bersani

Nella gara per i programmi a punti, quello di Pier Luigi Bersani è fatto a posta per inseguire i grillini, non per battere i mercati. Fitch lo ha capito e ha bastonato.

Ma lo ha capito anche Mario Draghi. Secondo alcuni si è riavvicinato alla Bundesbank, nonostante le parole rassicuranti di giovedì scorso.

A questo punto, ha ragione Michele Arnese, ci vuole un bagno di realismo, preparando il nostro piccolo scudo. E sperando di evitare che il prossimo governo debba ricorrere al grande scudo della Bce.

I tre punti per una manovra correttiva credibile, sono indispensabili. Ma credo che ci sia bisogno di altri due passi, uno aggiuntivo e l’altro complementare. Cominciamo da quest’ultimo.

La vendita del patrimonio pubblico

Occorre riprendere in mano il progetto di vendita dei beni pubblici, a cominciare da quelli demaniali, che il ministro Vittorio Grilli ha annunciato e poi lasciato appeso nel vuoto. L’operazione va completata e avviata, passando attraverso la Cassa depositi e prestiti. Si tratta di far nascere una società la quale emetta titoli a lungo termine garantiti da beni reali, che possono essere scontati presso la Bce. Non è finanza creativa, è il modo in cui si sostengono le amministrazioni locali negli Stati Uniti. Ciò può recuperare denaro fresco e avviare una manovra straordinaria sul debito, che diventerà inevitabile con il prossimo governo (la patrimonialina non servirà a nulla e la patrimonialona non è realistica). 

Il rinvio del pareggio di bilancio

L’intervento aggiuntivo (lasciato appeso, questo, da Mario Monti), riguarda l’Unione europea. Occorre avviare una trattativa per ottenere il rinvio di un anno al pareggio del bilancio. L’occasione l’ha offerta la Francia dicendo candidamente che per lei di riequilibrio non si parla fino al 2017. L’Italia ha già un avanzo primario al netto degli interessi e l’argomento di isolare il bilancio pubblico dall’effetto perverso della speculazione, ha una sua indubbia forza.

L’allentamento della terribile tabella di marcia

Non si tratta di negoziare un aumento della spesa pubblica (l’avanzo primario sta lì a dimostrare che il risanamento continua), ma un allentamento della terribile tabella di marcia che protrae l’austerità in un orizzonte senza fine. Poi bisognerà che l’Europa cambi marcia, così come chiedono gli Stati Uniti. Ma su questo l’Italia non ha, purtroppo, alcun potere contrattuale. Nemmeno con il ricatto di uscire dall’euro, come vorrebbero i grillino. Perché se la Germania dicesse “va bene, fatelo”, precipiteremmo tutti nel baratro.

Stefano Cingolani


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