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I Brics preparano il governo ombra

C’è un pizzico di megalomania e tanta buona volontà nelle dichiarazioni d’intenti dei cinque paesi – i famosi Brics – che oggi concluderanno il loro vertice in Sudafrica, a Durban, per discutere delle sorti magnifiche e progressive del mondo a venire. Un mondo nel quale, manco a dirlo, Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica giocheranno un ruolo sempre più importante. Se non altro per il loro peso demografico.

Qualche numero aiuterà a capire. Il prodotto interno lordo dei Brics rappresenta il 21% del Pil mondiale. I Brics occupano il 26 per cento della superfice del pianeta e totalizzano il 42% della popolazione mondiale.

Qualche giorno fa i giornali russi riportavano le roboanti dichiarazioni di Putin, secondo il quale “è necessario trasformare i paesi in via di sviluppo nel nuovo centro di influenza euroatlantica”. Il piano prevede di creare anche un’alternativa alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale. L’istituto, che prenderà il nome di Banca dello Sviluppo, sarà un centro nevralgico per la raccolta delle informazioni e delle analisi della situazione economica attuale che sarà dunque un’alternativa agli esistenti rapporti forniti da FMI e BM, analisi, fa sapere il premier che potrebbero anche discostarsi da quelli fino ad ora conosciuti. Per completare l’opera Putin vuole regalare all’Occidente anche una nuova agenzia di rating. In pratica un occhio “indipendente” sul mondo dell’economia.

Quale sia il disegno è chiaro: fare dei Brics una specie di G5.

Replicare in piccolo il sistema di potere che ha consentito ai vincitori della seconda guerra mondiale di restare in sella per 60 anni, istituendo anche una sorta di governo ombra del sistema finanziario, può anche essere una trovata interessante, in un mondo che ormai tutti dicono multipolare, ma sconta un problema di fondo: la fragilità dei suoi partecipanti.

Una fragilità che è innanzitutto finanziaria. Se guardiamo alla posizione netta sull’estero dei cinque Brics, servendoci delle statistiche del Fondo monetario internazionale, scopriamo che il Brasile, nel 2011, aveva un debito netto con l’estero pari al 33,12% del Pil; la Russia, sempre nel 2011, ha realizzato un saldo netto positivo pari al 7,97% del Pil, ma fino al 2008 era negativo per l’11,47%, segno di una situazione finanziaria sempre troppo esposta alle turbolenze e alla connotazione energy-based del proprio export. La Cina mantiene un saldo netto positivo per il 23,71% (dato 2011) del Pil, ma ben lontano dal 32% del 2008 e in costante calo dal allora. L’India ha visto il suo saldo negativo ampliarsi dal 5,9% del Pil del 2007 al 12,4 del 2011. Quanto al Sudafrica, il saldo è stato sempre negativo con una punta del 23% nel 2007 fino al 6,7985 del 2011.

Questo se si guardano solo i conti esteri.

Che tale fragilità sia ben nota ai cinque Brics lo dimostrano il primo atto che è stato firmato in questo meeting. Banca mondiale ombra a parte, uno delle prime intese raggiunte è stata quella fra le autorità brasiliani e quelle cinesi per regolamentare le transazioni commerciali non più in dollari, ma nelle rispettive monete. Il che la dice lunga sullo spirito dell’iniziativa: mettere d’assedio il principale strumento grazie al quale viene esercitata l’egemonia euroatlantica: il sistema monetario internazionale basato sul dollaro fluttuante.

Che i primi tentativi in tal senso vengano effettuati da Brasile e Cina non deve stupire, visti i rapporti sempre più intensi fra i due paesi. Un esempio basterà a chiarire: il volume degli scambi tra il Brasile e gli altri Brics è quasi raddoppiato in quattro anni: nel 2008, era di 48 miliardi di dollari e nel 2012 è stato di 95 miliardi di dollari. E la Cina è diventata lo scorso anno il primo partner commerciale del Brasile, scavalcando gli Stati Uniti. Ma i saldi netti esteri dimostrano come tale intensa attività di scambi sia fortemente sbilanciata.

Aldilà di come finirà il meeting di Durban, è evidente che due diverse visioni del mondo stanno emergendo e finiranno per contendersi l’egemonia globale. La prima, quella che Putin chiama euroatlantica, è destinata a confrontarsi con la visione emergente, quella eurasiatica, visto il peso relativo di Russia, Cina e India nei Brics.

Non è un caso che l’Europa stia in mezzo.

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