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Il disastroso fine settimana del professor Monti

Caro direttore,

non che mi aspettassi grandi slanci o dimostrazioni di intelligenza politica da Mario Monti e dal suo movimento: la storia recente della sua campagna elettorale, gli errori madornali e la somma di diverse culture ed interessi che hanno visto la nascita di Scelta Civica sono da manuale di tutto ciò che non bisogna fare per ottenere consenso ed avere così l’opportunità di incidere nella vita parlamentare del Paese.

Tuttavia, per quanto ha fatto nel week end, occorre riconoscere a Monti la capacità di essere riuscito nell’ardua impresa di confondere e deludere i suoi (pochi) sostenitori rimasti, compresi gli sparuti rappresentanti del suo movimento in Parlamento, testimoniando così l’avvenuta mutazione genetica dell’austero professore in un novello Scilipoti alla ricerca per sé di un posto al sole.

Al contrario di quanto avviene in natura, dove la mutazione porta ad una evoluzione, nella fattispecie ci ritroviamo in una involuzione che ne preannuncia l’estinzione. Dopo essersi arbitrariamente assunto il ruolo di “salvatore della Patria”, nonostante fossero evidenti le gravi lacune e contraddizioni del suo governo tecnico, dopo aver ricevuto le lusinghe di molti burocrati europei, ritrovarsi di fatto a essere ininfluente nell’agone politico è stato recepito come un grave affronto alla sua smisurata ambizione che, unita a una eccessiva permalosità, ha portato al conclamato fallimento di un progetto quantomeno bizzarro.

Riassumendo i citati episodi che hanno riguardato il prof: dapprima si becca un sonoro schiaffone dal Presidente Napolitano, il quale evidentemente non gli ha ancora perdonato l’affronto subito con quella che oggi si deve definire non salita, ma caduta in politica. Come un bambino cui sono state negate le caramelle, ecco che il senatore a vita allora prova a mercanteggiare con gli esponenti di quel partito, il Pdl, che è stato oggetto dei suoi maggiori attacchi, in particolare rivolti al suo leader troppo velocemente giudicato finito e fuori dai giochi. Un suicidio politico, oltre che una proposta giustamente definita oscena, quello di chiedere per se stesso non una poltrona qualsiasi, ma addirittura la massima carica dello Stato. Un atteggiamento da uomo avvezzo ai peggiori vizi della vecchia politica, quella tanto vituperata nei proclami iniziali, assunto peraltro con metodi da dilettante.

Il tragico paradosso che si è trasformato ieri in una farsa ridicola ed umiliante è che il prof avrebbe potuto ottenere ciò che è stato costretto a mendicare senza sforzo. Purtroppo non si tratta di una scommessa politica persa da un singolo giocatore, ma di una irriverente forma di disprezzo per i cittadini italiani, in particolare per quei tre milioni circa di fiduciosi, ingenui sprovveduti che lo hanno votato confidando il lui.

La vanità è decisamente il peccato preferito dal diavolo ed è destino inevitabile per i vanitosi finire all’inferno. Fini docet.


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