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Il lato nascosto della spesa pubblica

Sempre a proposito di come spendiamo i soldi pubblici, è molto istruttivo provare a fare una ricognizione dei costi occulti, quelli vale a dire che non sono direttamente correlati a un capitolo di bilancio, ma che derivano da scelte di spesa (o di incasso) che provocano effetti indiretti.

Abbiamo già detto in un post precedente che la spesa pubblica improduttiva, da un punto di vista macroeconomico, è davvero una parte minima della spesa corrente, riferendoci in particolare a quella quota di pagamento di interessi sul debito che va agli investitori esteri, e che quindi non produce effetti sull’economia italiana.

Questo in linea di principio. In pratica però è chiaro a tutti che la scelta di dare (spendere) soldi a questo o a quello, piuttosto che prendere (incassare) da questo o da quello è una scelta eminentemente politica.

In tal senso, l’analisi della contabilità pubblica racconta molto del nostro Paese. Perciò è la riserva di caccia di chi confonde gli effetti di una spesa (lato macroeconomico), con la sua causa (la scelta politica).

Quando tutti criticano la scelta di usare le auto blu, per fare un esempio, dovremmo ricordare il fatto che sia una scelta politicamente discutibile, con la circostanza che comunque quella spesa provoca un effetto economico. E’ un po’ la stessa confusione che si fa quando si scambia l’etica col diritto.

In questo post, perciò, cambiamo prospettiva. Dando per scontato il (discutibile) concetto di spesa pubblica improduttiva, andiamo a vedere nel merito alcuni dei rivoli nei quali si disperde la spesa dello Stato.

Cominciamo da un dato aggregato che siamo andati a prenderci nel rapporto della Ragioneria generale dello Stato sul patrimonio dello Stato, aggiornato a fine 2011. Il totale degli attivi dello Stato – il famoso patrimonio da valorizzare – fra beni mobili e e immobili, è passato dai 530,179 miliardi di euro del 2007 agli 820,719 miliardi del 2011, ossia è cresciuto del 54,8%. Niente male. Quasi non ci capisce perché dovremmo disfarcene, visto che aumenta di valore di anno in anno.

Senonché a fronte di cotante attività abbiamo passività per quasi il triplo. In particolare dai 2004,178 miliardi del 2007 ai 2.243,939 del 2011, una crescita di appena il 16,95%, che però in valore assoluto vale 339,761 miliardi, quasi 50 miliardi in più rispetto alla crescita degli attivi.

In pratica in cinque anni abbiamo perso 50 miliardi di patrimonio (a causa dei debiti). Ma come se non bastasse, questa contabilità non tiene conto dei costi indiretti, ossia quelli attinenti alla gestione. Mantenere un patrimonio ha un costo che incide sulla redditività. E in molti casi (lo abbiamo visto parlando degli immobili Inps) ciò può addirittura farla andare in rosso.

Facciamo un esempio. La Ragioneria censisce beni immobili di proprietà dello Stato, a fine 2011, per 57,106 miliardi di eur0. Tale valore, nel 2008, era di 51,057 miliardi. Di questi 57 e rotti miliardi, quelli disponibili per la vendita sono appena 2,917 miliardi (erano 3,748 nel 2007), mentre quelli assegnati in uso governativo valorizzano, a fine 2011, ben 28,574 miliardi, 6,5 miliardi in più rispetto al 2007.

Quindi da un parte lo Stato perde/vende mattone, dall’altra s’allarga. Una schizofrenia totale.

A questi 28,574 miliardi, dovremmo aggiungere altri 5,226 miliardi (dato 2011) di “altri beni non disponibili” e ben 20,025 miliardi di beni artistici e storici. In sostanza, dei 57 e passa miliardi di valore immobiliare a fine 2011oltre 53 sono indisponibili.

Quale sia il costo occulto di tale manomorta è verità nascosta nei rendiconti di cassa della spesa pubblica, dispersa in mille rivoli e difficilmente conoscibile. Quello che sappiamo è che un patrimonio di 50 miliardi di euro, se ben gestito dovrebbe rendere, ai tassi attuali, almeno un 3-4%. Quindi al costo (non) emergente, si dovrebbe aggiungere anche un sostanzioso lucro cessante.

Spigolando qua e là sui resoconti, si possono trovare infiniti esempi di costi occulti, quando non direttamente di scelte opinabili, sia sul lato degli incassi (lo Stato che prende) sia su quello delle spese (lo Stato che dà).

L’aumento delle accise sui carburanti, ad esempio, ha portato incassi nel primo semestre 2012 per un totale di 10,361 miliardi, a fronte degli 8,8 registrati nel primo semestre 2010-11, un incremento di imposta indiretta di 1,535 mld che non ha neanche compensato la diminuizione degli incassi Iva del semestre registrata a causa della contrazione degli scambi.

Pochi sanno altresì che lo Stato ha incassato 3,28 miliardi nei primi sei mesi del 2012 dalle lotterie, che uniti agli oltre 5 miliardi che arrivano dal monopolio tabacchi, portano a 8 miliardi il totale del prelievo da giochi e sigarette. Stavolta il costo occulto di queste pratiche è annidato altrove, nei conti della sanità e possiamo solo sperare che il prelievo diretto sia sufficiente a coprirli.

Per converso, notare che lo Stato paga quasi 80 miliardi ogni sei mesi per stipendi di dipendenti pubblici, dovrebbe essere accompagnato dall’informazione che tali retribuzioni contribuiscono per quasi 33 miliardi ai 75 miliardi totali di Irpef incassati a metà 2012. Ecco l’esempio di un costo diretto che provoca un beneficio indiretto.

Altresì bisognerebbe sapere, per fare una valutazione corretta della realtà, che la crisi dell’eurozona ci è costata quasi cinque miliardi di euro di prestiti alla Grecia fra le due metà 2011-12, ai quali si aggiungono altri 3,5 miliardi di maggiori interessi sul debito pubblico per l’impennata degli spread.

Nel campo della pure curiosità si colloca invece l’informazione che la Rai contribuisce per  oltre 1,6 miliardi agli incassi dello Stato, sotto forma di canone, che però consuma interamente (e neanche bastano). Ma di curiosità siffatte se ne trovano a bizzeffe fra le righe della contabilità.

Eproprio fra queste righe che si cela un’altra area di spesa, assai discrezionale, che non è collegata a una funzione ma alla pura liberalità. E qui che più d’uno può buttarla in politica.

A metà 2012, ad esempio, il governo aveva speso appena 700 milioni di euro per le famiglie, di cui la metà pensioni di guerra e assegni vitalizi, a fronte di quasi un miliardo e mezzo “regalati” a istituzioni sociali private, di cui 1,125 miliardi alla Cei, 299 milioni ai patronati.

In questa voce ci stanno anche i partiti politici, che nel primo semestre 2012 non hanno preso nulla ma nello stesso periodo del 2010 e 20111 avevano incassato 285 e 181 milioni di euro.

Quale sia il costo occulto di quest’utlima elargizione, è chiaro a tutti.


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