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In casa Pd Morando scortica Bersani su governo e alleanze

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Giampiero Di Santo apparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

No, i colloqui a Palazzo Chigi tra il premier Mario Monti e i leader dei principali partiti, Pier Luigi Bersani, Beppe Grillo e Silvio Berlusconi, non sono una prova tecnica di larghissime intese. “Hanno lo scopo di mettere a punto i dettagli dalla partecipazione dell’Italia al prossimo consiglio europeo e con le elezioni non c’entrano nulla”, spiega a ItaliaOggi Enrico Morando, classe 1950, già senatore del Partito democratico, in anni lontani (1976) segretario provinciale del Partito comunista Italiano di Alessandria (1976) estensore, nel 1988, del manifesto federalista del Pci piemontese ed esponente del migliorismo, cioè di quella corrente del Partito comunista che annoverò tra i suoi principali rappresentanti l’attuale presidente della repubblica Giorgio Napolitano.

Chiamato oggi a dipanare la matassa ingarbugliata della più ingarbugliata crisi politica postelettorale della storia recente e anche passata, alle prese come è con un risultato delle urne che rende il Paese ingovernabile.

Senatore, cosa farebbe al posto del presidente della Repubblica e soprattutto del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani?

Al Pd come a tutte le altre forze politiche, adesso compete eleggere i presidenti di Senato e Camera. È da lì che bisogna partire.

Ma per cominciare con il piede giusto cosa dovrebbe fare il Pd?

Farebbero bene a dichiarare formalmente che non intendono utilizzare la maggioranza assoluta dei seggi ottenuta alla Camera per indicare una soluzione che sia definita in casa propria.

Insomma, dialogo aperto con tutti sulla presidenza delle Camere. Con quale obiettivo?

Arrivare a una soluzione che sia ampiamente condivisa e alla scelta di due personalità che sarebbero gradite a tutti. Ciò creerebbe una situazione di largo accordo tra tutti e il clima giusto all’interno del quale il presidente della Repubblica potrebbe maturare la scelta del premier incaricato.

Che dovrebbe essere il segretario del Pd. O no?

La scelta dovrà essere fatta dopo l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, quando cioè sarà possibile che i partiti comincino a discutere le soluzioni da indicare a Napolitano nel corso delle consultazioni. È chiaro, in ogni caso, che la parola definitiva spetta al presidente della Repubblica, le cui prerogative devono essere assolutamente rispettate.

Passiamo dai principi generali alla realtà. Che speranze ha Bersani di convincere il Movimento 5 Stelle a sostenere un governo a guida Pd?

Credo nessuna. Quello che risulta chiaro sulla base del risultato elettorale e delle posizioni già espresse dai leader dei partiti è che in questa legislatura sarà impossibile costituire un governo politico che sia in grado di dare al Paese la stabilità di cui ha bisogno.

E allora siamo finiti in un vicolo cieco, perché anche la soluzione delle larghe intese sembra preclusa. O no?

Ripeto, non credo che ci sarà alcun governo politico. Penso invece che sia possibile dare vita a un esecutivo del presidente, o meglio a un governo di scopo, che faccia poche ma fondamentali riforme istituzionali ed economiche.

E quando dovrebbe durare in vita questo esecutivo targato Quirinale?

Certo non può ambire a terminare la legislatura.

E pensa che Grillo e il M5S darebbero il loro appoggio al governo del presidente?

È possibile trovare una soluzione che sia gradita anche a loro.

Quali dovrebbero essere gli scopi di questo governo di scopo?

Sul piano economico dovrebbe ridurre la pressione fiscale sul lavoro e l’impresa, giunta ormai a livelli intollerabili. Il calo del peso del fisco dovrà essere coperto da una vera riduzione della spesa e da ogni euro proveniente dalla lotta all’evasione.

Tutto qui?

No, poi c’è la questione istituzionale. Bisogna porre fine al bicameralismo perfetto e arrivare a un sistema sostanzialmente monocamerale. Perciò è necessario abolire il Senato e sostituirlo con una Camera delle regioni sul modello tedesco del Bundesrat, i cui componenti sono designati dai governi regionali. Tutto ciò andrà inserito in un sistema che preveda l’elezione diretta del presidente della Repubblica e un sistema maggioritario uninominale a doppio turno.

Insomma, un programma più meno ridotto all’osso. Quanto ci vorrà per tradurlo in realtà?

Meno di una legislatura, ma certo non pochi mesi. Anche perché, senza considerare le riforme costituzionali, soltanto la parte economica richiederà una seria revisione della spesa pubblica e una azione decisa contro l’evasione fiscale. Non è davvero poco.


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