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Che cosa nasconde la vicenda dei marò italiani in India

In pochi si sono chiesti perché Salvatore Girone e Massimiliano Latorre avevano bisogno di quattro settimane per votare. Questo secondo permesso così lungo per rientrare temporaneamente in Italia e il mancato versamento della garanzia economica generavano molti sospetti. A Natale l’Alta Corte del Kerala aveva chiesto un deposito di 826 mila euro per garantire il rientro dei due marò detenuti in India per la morte dei pescatori indiani Ajesh Binki e Valentine Jelastine nelle acque del Kerala. Ma questa volta no.

La realtà ha superato le speculazioni e i dubbi sono stati sciolti con la decisione comunicata ieri dalla Farnesina attraverso un comunicato e sintetizzata da un Tweet dal ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi: “Marò: giurisdizione è italiana. Disponibili a trovare soluzioni con India in sede internazionale. Intanto i nostri marò restano in Italia”.

La rabbia indiana

Prima che Girone e Latorre partissero il 12 marzo del 2013, l’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini, aveva dato la sua parola: “Se torneremo in India? Certo, noi abbiamo una sola parola, ed è quella di italiani”. Oggi gli indiani si sentono “beffati”, presi in giro, offesi sotto gli occhi del mondo. La rabbia e l’umiliazione sono il sentimento comune; dai blog fino alla stampa.

L’opposizione indiana si è subito scatenata: Rajiv Pratap Rudy, portavoce del partito conservatore Bharatiya Janata (Bjp), ha denunciato che il governo è stato “colluso in maniera assoluta” con la diplomazia italiana. “Tutto questo è un oltraggio alla Corte Suprema dell’India. Non siamo mica la repubblica delle banane; come è possibile che l’Italia ci tratti così”?, ha detto.

Il silenzio del governo

Ad aumentare la collera si è aggiunto un inspiegabile silenzio da parte del governo indiano, che non ha fatto nessuna dichiarazione fino ad oggi. Secondo il Times of India, la giustificazione è stata che non erano al corrente di quanto stava accadendo, che avevano preso l’informazione dai giornali italiani. Il premier indiano Manmohan Singh si è limitato a dire oggi che la decisione dell’Italia di trattenere i due fucilieri era “inaccettabile”.

Come ricorda la corrispondente in India della Stampa, Maria Grazia Coggiola, la remissività di Singh è famosa: molte volte non agisce fino a quando non sente la pressione dell’indignazione popolare. Questa volta però quella moderazione aumenta i sospetti. I giornali indiani suggeriscono trame più oscure dietro alla vicenda dei marò.

L’ombra dell’Agusta Westland

A complicare quanto accaduto con i due militari italiani sembra esserci un’altra circostanza che coinvolge l’India e l’Italia: il caso delle presunte tangenti pagate per favorire la commessa di 12 elicotteri dell’Agusta Westland.

Il quotidiano indiano Deccan Chronicle ha pubblicato un articolo con il titolo: “C’è un accordo segreto dietro al problema dei marines italiani?”. Il giornale si domanda se è un caso che proprio ieri il governo di New Delhi ha ricevuto dal governo italiano una serie di documenti che riguardano le presunte tangenti della Agusta Westland all’aviazione indiana; un ambito e prezioso materiale che fino ad oggi non è stato concesso.

La soluzione internazionale

La procedura dell’arbitraggio internazionale, ovvero l’intervento di una terza parte nelle le negoziazioni dirette per un accordo pacifico e concordato, sarà la procedura invocata dall’Italia per la risoluzione del conflitto. Nonostante l’India non abbia gradito per anni questo metodo per possibili sbilanciamenti verso i Paesi ex-colonialisti, di recente lo ha applicato con successo ed è su quello che l’Italia scommette per chiudere la storia.

Ma il caso resta ancora aperto: non solo per le ripercussioni a livello militare e diplomatico, ma soprattutto perché – se non è vero l’accordo sotto banco tra i due governi – l’India potrà ridurre gli accordi commerciali con l’Italia a causa della sua indignazione.



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