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La medicina amara del Fmi per l’Ue

Il destino dell’Eurozona, ora alle prese con la crisi cipriota, è scritto in un documento di 67 pagine che il Fondo monetario internazionale ha rilasciato in questi giorni. Si intitola “European Union: Financial System Stability Assessment”, e contiene alcune osservazioni che riepilogano con rara efficacia cosa sia stato finora il processo di integrazione europeo.

L’analisi inizia con l’individuare le cause della crisi, che sono da ricercarsi nella “innovazione finanziaria, la deregolamentazione, e la vigilanza troppo soft che hanno portato alla crisi finanziaria globale”. “L’Europa – aggiunge – è stata afflitta e probabilmente colpita più dura,emte rispetto ad altre parti del mondo a causa della sua dipendenza tradizionale dalla finanza basata sulle banche e a causa dell’alta leva finanziaria da queste utilizzata”. Per giunta “‘l’assenza di un sistema europeo di gestione delle crisi ha amplificato la crisi”.

Se la diagnosi è chiara, la prognosi lo è altrettanto: “Preservare la stabilità finanziaria in un ambiente del genere, con paesi altamente interconnessie attraverso notevoli esposizioni transfrontaliere, richiede un quadro sovranazionale di sorveglianza”. Detto in parole comprensibili, bisogna puntare sullo sviluppo delle istituzioni comunitarie, articolando gli interventi secondo una scaletta ormai ben nota a tutti: sorveglianza e ricapitalizzazioni bancarie, per cominciare, fino ad arrivare a politiche fiscali integrate.

“Le iniziative politiche intraprese – osserva il Fmi – hanno contribuito ad allentare le pressioni, ma la fragilità e le sfide rimangono”. A cominciare dalle banche, che “dovranno affrontare le conseguenze del rallentamento economico sulla qualità dell’attivo, previsto in deterioramento, mentre la domanda rimane debole e la crescita del credito è diventata anemica in tutta la regione”.

In effetti se guardiamo i grafici, osserviamo che i prestiti bancari nei paesi più importanti sono in forte rallentamento. Nei paesi più esposti, come Spagna e Italia, sono diventati addirittura negativi negli ultimi due anni. In Gran Bretagna, dopo il crollo del 2008, sono leggermente cresciuti, probabilmente grazie alle politiche accomodanti della Banca centrale inglese, ma rimangono sempre in zona negativa. Si salvano solo la Francia, che comunque ha visto diminuire la crescita dei prestiti dal +7% di ottobre 2011 a poco più del 2% di un anno dopo, mentre in Germania, l’unico paese in cui i prestiti bancari sono cresciuti dal 2010 in poi, non si va altre un povero 1% di aumento.

Che le banche europee siano diventate sempre più diffidenti nel concedere credito, lo dimostra anche la curva che misura l’esposizione estera intra-eurozona dal 1999 in poi. La curva trova il suo picco nel 2008, quando la crisi esplode, e poi decresce drammaticamente. I prestiti, in particolare, crollano nei confronti dei paesi periferici dell’eurozona, i famosi PIIGS,  mentre mantengono un aumento costante nei confronti dei paesi emergenti dell’eurozona.

Tale situazione ha un effetto diretto sui tassi di interesse sui nuovi prestiti a istituzioni non finanziarie, quindi aziende e famiglie. In Spagna i tassi sono ormai sopra il 5%, in Italia intorno al 4,5%, mentre in Germania non superano il 3%, poco meno della Francia.

Risolvere questa situazione, che nasce da squilibri strutturali profondi, non sarà facile né semplice. Il Fondo individua alcune mosse fondamentali, che passano dalla ricapitalizzazione delle banche e dalla loro ristrutturazione (dal 2007 il numero degli istituti è diminuito del 5%), all’aggiustamento dei debiti dovrani, che deve essere garantito dall’EFSF e dall’ESM da rendere operativi prima possibile. Ciliegina sulla torta: “Common fiscal and monetary backstops are essential”. Tradotto: servono meccanismi di garanzia europei sui debiti, sovrani e non, dell’eurozona.

Cosa significhi, in pratica, tutto ciò dovrebbe essere chiaro. Affinché il sistema finanziario europeo trovi il suo equilibrio, bisgnerà allargare sempre più la sfera di influenza delle autorità sovranazionali rispetto a quelle nazionali. La costruzione europea, per reggersi in piedi, dovrà prevedere ampie cessioni di sovranità, non solo monetarie, ma anche fiscali.

S’avanza il dispotismo Euro-asiatico.

Con la benedizione del Fmi.

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