La notizia è ufficiale: la corte suprema dell’India ha formalizzato il divieto di espatrio per l’ambasciatore italiano a New Delhi Daniele Mancini revocando di fatto la sua immunità.
I giornali del nostro Paese, sia in versione cartacea che online, sono pronti a gridare allo scandalo e a esprimere solidarietà al nostro, bravissimo e incolpevole, ambasciatore.
In realtà, non trovi addetto ai lavori che non parli di “porcata” per quanto deciso dalle autorità italiane e cioè di contravvenire all’impegno solenne preso proprio dall’ambasciatore Mancini con le autorità indiane assicurando che i due marò – accusati di omicidio – sarebbero rientrati nel paese asiatico per il processo che li vede imputati. Nessuno però ha il coraggio di scriverlo.
Gli unici a squarciare il muro dell’omertà nazionale sono stati il politologo Usa Edward Luttwak e il giornalista di Repubblica Vincenzo Nigro.
Per il resto, un unanime e peloso consenso a una manovra a dir poco spericolata. In piena campagna elettorale, con Camere sciolte, partiti distratti e governo limitato all’ordinaria amministrazione, qualcuno ha avuto la brillante idea della furbata all’italiana, affidandosi ad una lettura azzeccagarbusgliesca dei Codici internazionali.
E’ capitato così che i nostri marò da vittime della (in)giustizia indiana siano diventati colpevoli. Naturalmente, la responsabilità non è la loro ma di chi ha assunto questa folle decisione senza informare il Parlamento e senza dare conto agli organi democraticamente competenti di ratificare scelte così significative.
Adesso, a pagarne il prezzo è l’ambasciatore Mancini che aveva dato la parola d’onore dell’Italia (sic!).
La neo presidente della Camera, che ha una significativa esperienza in ambito internazionale, potrebbe avviare iniziative di sindacato ispettivo nei confronti del governo e magari essere promotrice di una iniziativa diplomatica volta a limitare i danni di un pasticciaccio che l’orgoglio e l’interesse nazionale avrebbero dovuto far evitare.