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No Tav, no Muos, no F35. Buon Grillo a tutti

Stamattina, finalmente, una buona notizia tra le tante desolanti. La commessa da 275 milioni andata ad Augusta Westland nel Regno Unito. Finmeccanica, uno dei (pochi) campioni nazionali ancora capaci di competere a livello internazionale, rappresenta quel patrimonio di aziende e competenze strategiche che sostengono la nostra base industriale. Senza di loro, ci aspetta l’irrilevanza e un idillio bucolico in cui saremo tutti più vulnerabili e molto più poveri. Qualcuno sembra rallegrarsene.

Il sistema italiano, mi si obietta, è costruito prevalentemente da PMI. Se è vero che il “miracolo economico” degli anni 60’ molto deve alle PMI, queste non sono oggi certo in grado di mantenere il proprio edge competitivo senza grandi sforzi – e conseguenti investimenti – in Ricerca, Sviluppo e Innovazione. Lo abbiamo visto accadere negli ultimi vent’anni nei nostri distretti. I settori tradizionali a basso valore aggiunto non hanno retto la concorrenza, prima della Cina, poi di altre economie emergenti.

Tuttavia, i grandi programmi di Ricerca e Sviluppo, i piani e gli sforzi sistemici per l’Innovazione, non avvengono in modo autarchico e solitario, al chiuso dell’officina dell’artigiano che, spesso, negli anni 60’ si è improvvisato imprenditore. Individualismo all’italiana. Forse, questo può accadere oggi solo in quel mondo dell’ineffabile che è il mercato digitale. La competitività nazionale resta invece possibile come risultato di una spinta di sistema, dell’integrazione e ricombinazione di fattori. La Grande Industria, il credito, la PMI, la ricerca pubblica. Gli attori in fila.

Il panzer tedesco ce lo mostra chiaramente. Un tessuto di PMI diffuse sul territorio, combattive, che hanno saputo cambiare mentalità nel corso degli ultimi vent’anni, in tutto. Pure nella gestione delle risorse umane. PMI sostenute da una rete di banche locali, venture capital, consulenza ad alto livello. Aziende fortemente integrate con il sistema della grande industria, sia a monte che a valle della catena. Siderurgia, energia, chimica, meccanica, elettronica..  Il Trasferimento Tecnologico, anche tra settori diversi, è continuo e sistematico.
La R&S, l’Innovazione, inoltre, hanno spesso origine in ambito militare. Arpanet, la rete prima di Internet, e il Gps, tanto per citare i due casi forse più eclatanti di tecnologie che hanno rivoluzionato il mondo, la nostra vita, e creato ex novo interi settori industriali. Domani le biotecnologie per l’enhancement delle capacità umane.

Tutto questo per ricordare l’ovvio. Ma che oggi in Italia dimentichiamo. Commesse importanti nel settore della difesa – oltre a rispondere ad esigenze vitali di una Nazione – garantiscono la persistenza di capacità economiche e industriali strategiche, e creano posti di lavoro qualificati. Le situazioni sono troppo complesse per essere ridotte all’impolitica del No TAV, no Muos no F35.

L’Italia detiene ancora in molti settori, un patrimonio che il mondo ci invidia e ci contende. Asset strategici di sapere e saper fare, oggi resi vulnerabili da fattori endogeni ed esterni. Asset che abbiamo l’obbligo di difendere e rivendicare, nel nostro interesse precipuo, contro derive anti – industriali e neo luddiste, contro le urla facili di “pacifisti” approssimativi, e di quei “verdi” di risulta che dimenticano che sviluppo e ripresa passano sì per le “Green Technologies”, ma appunto, quel che conta sono le tecnologie.


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