Pechino guarda alla Santa Sede auspicando un atteggiamento “pratico e flessibile”. Anche dai palazzi di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, sono arrivate le congratulazioni per l’argentino Jorge Mario Bergoglio, da ieri papa Francesco.
La dirigenza cinese ha assistito alla fumata bianca mentre era impegnata nell’annuale sessione plenaria dell’Assemblea nazionale del popolo, che ha concluso la transizione dalla quarta alla quinta generazione di leader, incaricati di guidare la seconda economia al mondo per il prossimo decennio.
I media internazionali oggi affiancavano nelle prime pagine online l’elezione del Pontefice all’investitura ufficiale di Xi Jinping alla presidenza della Repubblica popolare. Sorpresa nel primo caso, nomina già nota da almeno sei anni nel secondo.
Flessibilità “per creare le condizioni per un miglioramento delle relazioni tra la Cina e il Vaticano”. Questo chiede Pechino al successore di Pietro, affidando la propria posizione alle dichiarazioni della portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chuying.
Alle congratulazioni si aggiungono anche le condizioni affinché un miglioramento possa avvenire. La Cina manterrà “due principi di base” che la Santa Sede dovrà rispettare: riconoscere il governo cinese come tale e Taiwan parte inalienabile del territorio cinese e non interferire negli affari interni della Cina con pretesti religiosi.
I rapporti diplomatici tra Pechino e Santa Sede si interruppero negli anni Cinquanta del secolo scorso con la cacciata dell’allora nunzio apostolico Antonio Riberi. Il Vaticano riconosce invece Taiwan, che la dirigenza cinese continua a considerare una provincia ribelle. Questo nonostante il clima di distensione cominciato nel 2008 con il ritorno al governo a Taipei dei nazionalisti del Guomindang e la fine degli esecutivi autonomisti dei democratici progressisti, che proprio durante l’elezione di Benedetto XVI nel 2005 poterono usare il palcoscenico romano per perorare la propria causa.
Da oltre sessant’anni i circa 10 milioni di cattolici cinesi sono divisi tra la Chiesa clandestina, che riconosce il primato papale, e la chiesa ufficiale cinese in cui i rapporti tra lo Stato e i fedeli sono gestiti dall’Associazione patriottica dei cattolici e dalla Conferenza episcopale della Chiesa cattolica, entrambe approvate dal governo.
Una dualità che si manifesta nella pratica cinese delle ordinazioni episcopali senza assenso papale, costate negli ultimi anni la scomunica di almeno tre vescovi, in un crescendo di tensioni che hanno rotto gli accordi che, secondo l’Associated Press, permettevano alle due parti di trovare figure accettabili per entrambi.
I contrasti si sono intensificati dal 2010 con la nomina di Guo Jincai a vescovo di Chengde. L’ultimo caso eclatante, ricorda Agichina24, fu l’arresto del vescovo ausiliare di Shanghai, Thaddeus Ma Daqin, che nel corso della sua ordinazione diede le dimissioni dall’Associazione e non volle condividere il calice della comunione con uno dei vescovi colpiti da scomunica.
Tensioni a parte, gli otto anni di pontificato di Benedetto XVI hanno visto anche l’invio nel 2007 di una lettera di Ratzinger ai cattolici cinesi e secondo quanto riportano cablogrammi diffusi da WikiLeaks, tra i fedeli le divisioni non sono profonde, al contrario.
Nei rapporti con la Cina il gesuita Bergoglio potrebbe inoltre affidarsi alla memoria di un altro esponente della Compagnia, il maceratese Matteo Ricci, in missione nel Paese di mezzo a cavallo tra XVI e XVII secolo.