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Se a Bersani i conti non tornano

Non sarà domani come previsto, ma probabilmente venerdì, il giorno tanto atteso in cui Pierluigi Bersani dovrà presentarsi davanti a Giorgio Napolitano e sciogliere o meno la riserva.

Dopo le consultazioni con l’universo mondo e quelle con i partiti, siamo alla resa dei conti. Ed è proprio sui conti che bisogna ragionare per vedere se la strada stretta di Bersani è percorribile. Al segretario Pd mancano 37 voti al Senato per avere la fiducia: lo scoglio perché il suo tentativo possa vedere la luce.

Nell’incontro di questa mattina con la delegazione del Movimento 5 Stelle non sono stati aperti. I capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi hanno ripetuto la decisione presa all’unanimità ieri sera dal Movimento: nessuna fiducia né appoggio esterno al governo Bersani.

Il segretario Pd può sperare che qualche dissidente grillino, magari lo stesso che ha votato per Pietro Grasso al Senato e che ieri sera si è sentito urlare dalla riunione a porte chiuse grillina, possa alla fine cambiare idea e votare per lui. Ma può un governo che deve dare fiato a questo Paese, basarsi sulla fiducia di alcuni deputati grillini “traditori”? Forse è meglio guardare da un’altra parte.

E dall’altra parte ci sono le larghe intese. Quelle che chiedono dall’inizio Pdl, Lega e Scelta Civica. Bersani continua a ribadire che spazi per un governissimo non ce ne sono ed è sempre più persuaso che la via possibile sia quella del “non impedimento”, la possibilità che Pdl e Lega possano uscire dall’aula al Senato al momento della votazione, pur mantenendo il numero legale. Ma il punto è che Napolitano ha posto a Bersani paletti ben precisi e tra questi ci sono i numeri certi che mal si conciliano con la logica della “non sfiducia” bersaniana.

Bersani potrà impiegare le ore che gli mancano per andare al Colle a fare i conti sui numeri che gli mancano con il pallottoliere, ma da quello che si è visto in queste consultazioni, e da come ha detto lui stesso, “servirebbe un miracolo”.

E allora il miracolo sarà costretto a farlo il capo dello Stato, trovando un governo, e in fretta.



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