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Come i sindacati (non) vanno d’accordo su Bersani e Grillo

Forse non ci sarà bisogno che si realizzi la proposta-auspicio di Beppe Grillo: “Aboliremo il sindacato”, ha ripetutamente detto il comico leader del Movimento 5 Stelle.

Vasto programma, certo.

Eppure in periodi di post concertazione, di governi tecnici e di disoccupazione incalzante il peso delle maggiori centrali sindacali si sta affievolendo sempre più. Insomma, il rischio è quello di una abolizione de facto del ruolo “politico” delle organizzazioni dei lavoratori nell’influenzare le dinamiche e le scelte di politica economica del Paese.

Al rischio sempre più immanente di irrilevanza per Cgil, Cisl e Uil si aggiunge anche un progressivo sfilacciamento dei rapporti tra le confederazioni. Se l’unità sindacale è ormai un miraggio, un semplice e più modesto idem sentire “politico” è anche una chimera. Ovviamente le origini e le storie dei sindacati non si possono dimenticare, e quindi omologare.

Ma la campagna elettorale e soprattutto i risultati del voto hanno portato a una ulteriore divaricazione fra i tre principali sindacati.

La Cisl di Raffaele Bonanni non fa mistero di preferire una soluzione da grande coalizione, con una inevitabile collaborazione quindi anche tra Pd e Pdl, oltre a un coinvolgimento di Scelta Civica, una delle formazioni sostenute de facto dalla confederazione di via Po durante la campagna elettorale.

La Cgil capitanata da Susanna Camusso, invece, non esita ad auspicare un governo politico imperniato sul Pd e magari con il coinvolgimento del Movimento 5 Stelle: la linea di fatto perseguita dal segretario Pierluigi Bersani.

Dalla Uil di Luigi Angeletti, infine, non si nasconde che in caso di protrarsi del clima di incertezza e di ingovernabilità si preferiscono elezioni anticipate, previa una indispensabile modifica alla legge elettorale.

Come si vede, si va in ordine sparso.



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