Per molti Sonia Gandhi resterà sempre “l’italiana”. Tuttavia ieri la leader del partito del Congresso e prima donna dell’India ha rotto il silenzio sulla questione Marò, redarguendo l’Italia per l’annunciata decisione di non rimandarli in India allo scadere della licenza elettorale, venendo quindi meno agli impegni presi con i giudici supremi indiani. Per farlo ha atteso che si esprimesse la Corte Suprema, organo capace nella storia dell’India di fermare anche gli istinti più accentratori di Indira Gandhi.
“La sfida del governo italiano e il suo tradimento sulla questione dei marinai sono francamente inaccettabili. Nessun Paese potrebbe o dovrebbe dare per scontati i suoi rapporti con l’India. Ogni mezzo deve essere perseguito perché il governo italiani onori l’impegno che ha preso con la Corte Suprema”, sono state le parole della donna più potente dell’India.
All’anagrafe Antonia Maino, nata in Veneto nel 1946 e cresciuta in Piemonte per poi trasferirsi in Gran Bretagna dove conobbe il rampollo della più importante dinastia politica indiana Rajiv Gandhi, ha sempre trovato un ostacolo nella sua italianità.
È alle sue origini che si appigliano i detrattori siano di sinistra o della destra nazionalista indù, ed è per questo che pur leader del partito del Congresso non può aspirare a un ruolo di governo, sebbene in un articolo dell’Economics Times, che celebra i suoi 15 anni alla guida del partito, questo è evidenziato come un punto d’orgoglio in una Paese la cui classe politica è spesso caratterizzata dalla ricerca del potere.
Ricorda Matteo Miavaldi in un profilo scritto per Linkiesta quando esplose lo scandalo delle presunte tangenti pagate da Finmeccanica nell’ambito della vendita di 12 elicotteri Agusta Westland, che per molti oppositori politici la figura di Sonia Gandhi non è quella di una guida che sostiene gli interessi indiani, sorta di anello di congiunzione nelle teorie più estreme di un complotto che mette assieme Kgb, islamisti, movimenti Tamil. Così quando il Parlamento ha approvato le liberalizzazioni nel settore della distribuzione, aprendo a investimenti diretti esteri, subito c’è chi a tuonato al favore fatto agli italiani.
Ancora dopo le parole di ieri, nei commenti agli articoli sui giornali online indiani si leggono utenti convinti che la presa di posizione di Gandhi sia soltanto una posizione di facciata. Sul giudizio degli indiani pesa inoltre il nome di Ottavio Quattrocchi, negli anni Ottanta del secolo scorso rappresentante in India per Snamprogetti e coinvolto come mediatore nel caso Bosfors, circa presunte mazzette pagate dalla società svedese per forniture di armamenti. Lo scandalo toccò il marito di Sonia, Rajiv, allora al potere e assassinato nel 1991, e i figli Rahul e Priyanka.
Per capire il clima attorno alla leader del Congresso servirebbe citare un’analisi del quotidiano online Firstpost, che esortava Sonia Gandhi a prendere cinque decisioni per dimostrare una volta per tutte di essere indiana: dichiarare persona non grata l’ambasciatore italiano Daniele Mancini; pretendere chiarimenti dall’Italia sul caso elicotteri; cercare di portare Roma davanti alla Corte internazionale; portare avanti una diplomazia i “pressioni e umiliazioni” contro l’Italia; bloccare tutti i contratti governativi.
Per adesso però l’italiana Gandhi ha tenuto il suo profilo di leader indiana, ora alle prese con questioni di politica interna per la decisione dei ministri e del partito vicino ai tamil di andare alla crisi di governo se New Delhi non sosterrà la condanna dello Sri Lanka per violazione dei diritti umani nell’ultima fase del conflitto che portò alla sconfitta militare delle Tigri Tamil. Quei guerriglieri che uccisero il marito Rajiv.