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Tutti gli errori (di marketing) commessi da Monti e Giannino

Uno degli elementi che storicamente caratterizzano le tornate elettorali in Italia è, da sempre, l’assenza di sconfitti. Il giorno successivo all’esito delle urne i leader dei partiti politici Italiani, vecchi e nuovi, in auge o ormai scomparsi hanno sempre commentato i propri risultati manifestando soddisfazione per il risultato ottenuto anche quando i risultati fossero stati ampiamente al di sotto delle attese del giorno prima. In fondo la colpa non è mai di sbagliate strategie elettorali ma sempre di fattori esogeni su cui i leader degli schieramenti non hanno alcuna possibilità di influenza e conseguentemente responsabilità.

Se si raccoglie qualche voto in meno del previsto la colpa di solito è di una sbagliata legge elettorale (di solito si scopre che è sbagliata il giorno dopo e mai il giorno prima delle elezioni), del meteo (che sia canicola estiva o rigore invernale) che ha bloccato in casa gli elettori della propria parte politica impedendo loro di raggiungere la sezione elettorale, della scarsa copertura mediatica funzione di complotti internazionali, di influssi astrali o di un’improvvisa ricchezza dell’offerta televisiva tale da non allontanare gli elettori dal salotto di casa per uscire a compiere la funzione di elettorato attivo.

Purtroppo chi scrive non è dotato della fantasia dei leader politici nell’individuare le innumerevoli cause esogene di un risultato poco soddisfacente, ma, irrimediabilmente influenzato da una maggiore abitudine a valutare i risultati in termini di bilancio di un’azienda rispetto a quelli elettorali di un partito, tende a ricercare in errori in termini di definizione di una strategia o di scarsa realizzazione della stessa le motivazioni sottostanti un risultato al di sotto delle attese.

E sulla base di questa forma mentale, che alcuni, definirebbero volgarmente mercantile e incapace di cogliere il forte messaggio ideologico di un risultato elettorale che, seppur mediocre agli occhi di un osservatore superficiale come il sottoscritto, in realtà nasconde un sommovimento della società che non mancherà di produrre effetti epocali nelle tornate successive, mi sono interrogato sui risultati dello schieramento facente capo al Senatore Monti  e di quello guidato (fino a 3 giorni prima delle elezioni) dal Dream Team Giannino, Zingales, Boldrin e De Nicola.

I risultati di Scelta Civica

Partendo dal primo, in tutta sincerità non riesco a seguire la linearità del pensiero (dove ho già sentito questa frase?) sottostante i commenti di molti esponenti di Scelta Civica all’insegna della soddisfazione per il risultato ottenuto. Un movimento che, sin dalla sua nascita si è dato una vocazione maggioritaria e che ha come suo leader una delle personalità Italiane dotate di maggiore preparazione, prestigio ed esperienza a livello internazionale non può e non deve dichiararsi soddisfatto di un risultato intorno al 10% tale da fare eleggere in Parlamento un manipolo di esponenti numericamente ininfluente ai fini della formazione di una qualsivoglia maggioranza e conseguentemente marginalizzando il Centro in uno scenario politico polarizzato come non mai. Certo, Scelta Civica è nata solo a fine dicembre (anche se affonda le sue radici nella mia benemata Italia Futura che nacque nel lontano 2009, qualche mese prima del Movimento 5 Stelle uscito trionfatore dalle urne), ha pagato l’inesperienza dei suo vertici (che è peccato veniale in quanto se si vuole rinnovare la politica è inevitabile pagare il prezzo di una minore maestria in materia di abitudine a gestirne i meccanismi), ed è riuscita a comunque portare a Roma competenze sinora sconosciute all’aula parlamentare quali quelle di Alberto Bombassei, Enrico Zanetti, Paolo Vitelli o Ilaria Capua, ma è anche vero che partire con l’ambizione di essere il dominus della politica Italiana e terminare con un numero di rappresentanti irrilevante è, inutile nasconderselo, il segno di un sconfitta.

I numeri di Fare per Fermare il Declino

Non meno bruciante il risultato di Fare (Fermare il Declino). In questo caso la vocazione non era sicuramente maggioritaria ma l’aggressività mostrata dai membri del Dream Team sin dal momento della nascita del movimento che, sulla base dei famosi Dieci Punti, invitavano gli aderenti di Italia Futura e di altri movimenti a confluire immediatamente nel nuovo soggetto politico, portatore dell’unica vera fede liberista enunciata dal profeta Giannino e dai suoi seguaci scesi per l’occasione dalle scalette di voli intercontinentali per trasmettere il Verbo, poco si relaziona con un risultato superiore di poco all’1% dei voti.

Una debacle

Chi, come il sottoscritto, sente il bisogno di una grande forza liberale e orientata al mercato che riesca a farsi propugnatrice di quelle improrogabili riforme senza le quali l’Italia, trascinando a sé il resto dell’Europa, sembra destinata ad un futuro che nel migliore dei casi ricorda la ventennale stagnazione giapponese e nel peggiore la catastrofe greca, non può non ritenere necessaria un seria analisi dei motivi della debacle del 24 e 25 Febbraio.

Il marketing può spiegare l’insuccesso

Mi si perdoni se paragono un partito politico a un prodotto di consumo quale un dentifricio o uno smartphone (ho premesso che la mia mente è distorta da anni di attività professionale vilmente mercantile) ma l’insuccesso delle urne è figlio di una totale non applicazione dei principi basilari del marketing (che in Bocconi come in qualunque altra facoltà economica si insegnano in un esame del primo anno).

I due nuovi prodotti sul mercato

Scelta Civica o Fare sono paragonabili a nuovi prodotti da collocare sul mercato. Normalmente il successo dell’introduzione di un nuovo prodotto è funzione della capacità dello stesso di andare a soddisfare fasce di domanda lasciate scoperte dalla competizione oppure di crearne di nuove (si pensi a Apple con la creazione del concetto di tablet successivo al’introduzione dell’iPad).

Lo scenario pre elezioni

Lo scenario politico Italiano pre elezioni vedeva un affollamento a sinistra, con il Pd, Rivoluzione Civile e il Movimento Cinque Stelle che si dividevano il consenso di un fetta di elettorato che, al lordo degli astenuti, è tuttora minoritaria nel Paese. A questo punto era evidente che il segmento di mercato da andare a coprire era quella fetta di elettorato che storicamente si riconosce in idee di centro destra e che, in larghissima parte, aveva votato nel passato Berlusconi senza troppa convinzione  e che era profondamente delusa dai risultati di 18 anni di Berlusconismo.

Al fine di studiare come andare a presidiare quella fetta di mercato sarebbe stato utile prendere a prestito le leve del cosidetto “marketing mix” vale a dire prodotto, promozione/pubblicità e distribuzione (lasciamo perdere il prezzo che è un termine che associato a politica fa venire rabbia).

Le anomalie dei nuovi prodotti

Se il segmento che si vuole andare a coprire è l’elettore di centro destra che cerca una nuova alternativa al populismo berlusconiano, si deve offrire un prodotto che sia percepito come di centro destra e come nuovo. Dissertazioni dotte sul superamento del concetto di destra e sinistra (per quanto affascinanti dal punto di vista intellettuale), declami di alleanze post elettorali con il Pd come quelli che Olivero propugnava quotidianamente nei talk show televisivi che lo accoglievano,  inviti al voto disgiunto per le regionali in Lombardia da parte di aristocratici radical chic (mentre forse sarebbe stato meglio non presentare alcun candidato invece di presentare Albertini e chiedere di votare Ambrosoli), gli attacchi reciproci tra due movimenti che, come Scelta Civica e Fare, condividevano molti elementi programmatici e la miope caccia ai Renziani delusi dall’esito delle primarie non hanno fatto altro che confondere l’elettorato sulla reale natura del prodotto che si andava a proporre. Parimenti, se ci si vuole connotare come nuovi, che senso ha allearsi con Fini e Casini creando ulteriore confusione nell’elettorato, presentando inoltre liste differenti per la Camera e per il Senato, espediente che puzza di vecchia politica?

Risultato è stato che una formazione che avrebbe potuto essere presentata come un nuovo centro destra moderno e riformatore, che è poi un qualcosa che manca in Italia da tempi immemorabili, è stata percepita da parte dell’elettorato come un vecchio prodotto partitico dall’incerta collocazione sugli scaffali del supermarket della politica Italiana.

Promozione/pubblicità

Sbagliato il posizionamento, almeno sarebbe stato necessario vendere bene l’unica caratteristica che rimaneva chiara e inconfutabile nella mente dell’elettorato, vale a dire la competenza tecnica degli uomini di Scelta Civica. Per fare questo sarebbe stato necessario presentare un programma chiaramente sostenuto da evidenze numeriche e mantenere una coerenza nei messaggi relativi a pochi punti chiave nel corso della campagna elettorale.

Per quanto riguarda questa dimensione siamo passati da un Monti che dichiarava che l’Imu non potesse essere eliminata a meno di non doverla raddoppiare l’anno successivo a proposte di tagli di imposte a destra e manca peraltro non supportate da evidenze numeriche in materia di coperture. Sempre Monti (che fino a qualche settimana prima aveva detto che non avrebbe fatto campagna  elettorale) è passato da una figura di algido professore alle birrette ed i cani con la Bignardi piuttosto che agli alberghetti a 3 stelle a Venezia. Era chiaro che la svolta empatica di Monti fosse dettata da una strategia di marketing e non da una improvvisa umanizzazione del Professore ed è altrettanto chiaro che nella mente del’elettore se Monti mentiva sul suo amore per i cani o per la birra, evidentemente lo avrebbe fatto anche sui suoi programmi elettorali disperdendo così l’immagine di serietà e coerenza accumulata in anni di carriera sia in università sia in seno a prestigiose istituzioni. Tutto questo aggravato da una strategia elettorale che, nell’affanno delle ultime settimane e dei sondaggi in costante peggioramento è stata caratterizzata dall’inseguimento dell’agenda dettata da Berlusconi invece di focalizzarsi su contenuti per il sostegno dell’imprenditoria e la crescita che peraltro esistevano, come per esempio l’ottimo programma di politica del lavoro redatto tra gli altri, da Bombassei, Ichino, Tinagli e Simoni presentato sotto tono senza poi essere seguito da un’adeguata campagna promozionale.

Distribuzione

La rete logistica su cui basare la distribuzione del prodotto Scelta Civica era costituita da un lato dalla struttura territoriale sul territorio di Italia Futura e dell’altro dalle Acli. Se le seconde si sono fin da subito rifiutate da svolgere la loro funzione, sia perché in gran parte più vicine al centro sinistra che a quel centro destra che Monti avrebbe potuto rappresentare sia perchè infastidite dalla strumentalizzazione delle Acli a fini politici tentata da Olivero, le prime sono state marginalizzate con una selezione dei candidati che, partita in una prima fase dal basso chiedendo a ciascuna associazione territoriale di indicare i nominativi più meritevoli, ha poi subito una svolta centralista con la collocazione dei suddetti nominativi in posizioni non eleggibili, in favore di candidati che nulla condividevano con le strutture territoriali e che anzi sono stati percepiti come estranei e forse ostili alle stesse. Ne è derivata una crescente insoddisfazione della base, esacerbata dalla totale assenza di risposte da parte dei vertici romani e sfociata, in alcuni contesti, in un’aperta ribellione. A ció si è aggiunto un sostanziale non utilizzo del web con la progressiva scomparsa del sito di Italia Futura che fino a prima dell’inizio della fase elettorale era luogo di confronto stimolante sui temi cari a chi si riconosce in una visione liberale, di mercato e meritocratica del Paese per diventare luogo quasi esclusivamente dedicato alla trascrizione degli interventi pubblici degli esponenti di punta, focalizzando la strategia web sul sito di Scelta Civica, la cui freschezza comunicativa ricordava le assise dello scomparso Partito Comunista Sovietico.

Conclusioni 

In sintesi, il deludente risultato elettorale di un’area di pensiero in cui il sottoscritto come tanti altri continua a riconoscersi, non è figlio né di fattori esogeni non controllabili dai decisori né della giovane età dei movimenti ma di una serie di errori strategici e di marketing che non potevano portare ad un esito diverso. Detto questo, l’adagio popolare dice che sbagliando si impara ed è questo l’auspicio di chi, come il sottoscritto, spera che gli errori compiuti consentano di presentare al prossimo giro un’unica forza (magari senza vocazione maggioritaria agli inizi ma nemmeno irrilevante) rappresentativa di quella parte del Paese che ancora oggi non si sente rappresentata da nessuno dei maggiori movimenti politici e che crede che l’unica via di uscita dalla tragica crisi che sta stritolando il Paese sia una serie di riforme che vadano a colpire le sacche di inefficienza modernizzando la politica, la pubblica amministrazione e l’Italia nel suo complesso. Peccato che il tempo scorra veloce e l’Italia pare lanciata ad alta velocità contro il muro della catastrofe economica.


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