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Larghe intese: per democrazia meglio 51 che 90%

Il leit motiv dei maitre à penser per giustificare l’operazione ‘larghe intese’ – Pd-Pdl e la fallita Scelta civica – é riproporre due precedenti. Il primo, la ‘svolta’ di Salerno del 1944 con cui Palmiro Togliatti, tornato da Mosca, impose al Pci su disposizione di Stalin, la partecipazione al ‘governo delle larghe intese’ (22 luglio 1944) di Pietro Badoglio, abbandonando la pregiudiziale repubblicana. “E’ compromessa anche l’epurazione: chi collabora con il maresciallo dell’impero Pietro Badoglio e con il Re della marcia su Roma [Giorgio Bocca, in Palmiro Togliatti, Laterza 1973] non potrà chiedere l’epurazione dei fascisti subalterni. Né Togliatti ha intenzione di chiederla, lui é convinto dal tempo delle lezioni sul fascismo che siano masse da recuperare”. In quegli anni cruciali si impedì la ‘rivoluzione liberale’ agognata dai fastidiosi azionisti: nella Repubblica si importarono settori interi della struttura – burocrazia, ordini professionali, stampa e magistratura – del Regime fascista. Padrino del ritorno al ’44 è Eugenio Scalfari, giovane Guf  poi antifascista.

L’altro, i governi della ‘non sfiducia’ (luglio 1976-marzo 1978) e della ‘fermezza’ (marzo 1978-marzo 1979) guidati dal ‘dc’ Giulio Andreotti, fino a pochi anni prima avversato come leader del centrodestra, quando il Pci di Enrico Berlinguer era proteso, sull’onda del compromesso storico, verso l’alleanza con la Dc di Aldo Moro. Come aveva fatto, negli anni ’40, Togliatti con il leader della Dc, Alcide De Gasperi, per elevare a norma costituzionale i Patti Lateranensi del ‘26 tra il Duce e la Chiesa in nome della pax religiosa e depotenziare la Costituente delle funzioni legislative, ossia fare le riforme!  Padrino del ritorno al 1978-79 è Giorgio Napolitano, anch’egli giovane Guf poi antifascista.

 

La prassi del compromesso storico o delle ‘larghe intese’ scaturì dalla necessità di fronteggiare una pesante crisi politica, economica e morale. Berlinguer la lanciò dopo il colpo di Stato in Cile che pose fine al governo del socialista Salvador Allende. Lo slogan di Berlinguer era: “non si può governare col 51%”. Ad esso si contrappose lo slogan di Riccardo Lombardi: “A me non preoccupa il 51, bensì il 90% […] Si può avere il 90% e non avere quella massa di consensi […] per consentire a quelle forze vittoriose di sinistra di iniziare un’opera riformistica […] Una vittoria elettorale con questo 51% può superare e di molto il grado di libertà di manovra consentito dallo stretto rapporto numerico…”. Quelle ‘larghe intese’ – del Pci solo Umberto Terracini votò contro – vennero dopo le elezioni regionali del ’75 con l’affermazione di Pci e Psi; il referendum sul divorzio del 1974 con la strepitosa vittoria dei No;  l’avvio di iniziative per l’abrogazione degli articoli del codice penale che vietavano l’aborto e poco prima, 1970, la grande legge di civiltà dello Statuto dei Lavoratori.Questi governi delle ‘larghe intese’ furono la risposta alla fortissima spinta popolare alle riforme vere, quelle che incidono sulla qualità della vita, sulla libertà, l’uguaglianza e l’emancipazione! E l’affermazione della laicità dello Stato.

 

Il Pci di Berlinguer come a suo tempo Togliatti ambiva ad essere legittimato quale partito di governo: legittimazione che ricercava in un accordo di potere con la Dc invece che nel rendersi autonomo in toto dall’Urss e dallo stalismo! Il principio del Partito non andava mai messo in discussione…

 

In quegli anni furono approvate la innovativa legge 194 per l’interruzione volontaria di gravidanza e la fallimentare legge 180 sulla progressiva chiusura dei manicomi con cui centinaia di migliaia di malati mentali finirono in strada o nelle rispettive famiglie mentre si aprivano centinaia e centinaia cliniche private di enti religiosi che sostenute dalle finanze pubbliche sarebbero divenute piccoli manicomi per i ceti abbienti.

 

Unica nota positiva: l’arrivo al Colle di Sandro Pertini, il partigiano socialista che fece la Resistenza ed nel carcere di Turi divenne amico di Antonio Gramsci.

 

La disfatta politica: alle elezioni politiche del 3 giugno 1979, il Pci fu il solo partito a pagare il prezzo delle “larghe intese” perdendo 1,4 milioni di voti, circa il 4% sul ‘76 (30,4 %), mentre la Dc scese di un’inezia e restò al 36,5 dei suffragi e il Psi arrivò appena al 9,6%. Posizioni elettorali ribadite alle europee di una settimana dopo, tranne un risultato migliore per il Psi, all’11 %, col Pci che perdeva ancora terreno e la Dc che scendeva di poco rispetto alle politiche. Questa doppia tornata elettorale segnò la fine del compromesso storico e delle larghe intese: con la ‘svolta’ di Salerno Berlinguer formulò – tardi – l’alternativa democratica.  A quel tempo l’astro nascente di Bettino Craxi portò il Psi dall’alternativa di sinistra – Congresso di Torino del ’78 – all’alternanza e all’accordo di potere con il Caf…

Rispetto ad oggi, le differenze sono enormi: una per tutte, a quel tempo non c’erano partiti-azienda, né partiti “personali”, né, tantomeno, leggi ad personam. Situazioni storicamente lontane ma come negli ’40 il Pci del guardasigilli Togliatti brigava per l’inserimento dei Patti Lateranensi tra le norme costituzionali e l’amnistia ai fascisti, i suoi nipotini hanno riproposto nella Seconda Repubblica le stesse manovre a tutto vantaggio di Silvio Berlusconi in una interminabile sequenza di clamorosi autogol fino all’abbraccio odierno! Ed e’ ancora preferibile per la democrazia lo slogan di Lombardi: A me non preoccupa il 51 bensì il 90%!


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