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Mal d’Africa. Come le guerre del continente nero sballano la sicurezza mondiale

“L’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. È solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà, l’Africa non esiste”. Questa è la definizione del continente nero del giornalista polacco Ryszard Kapuściński dopo vent’anni di viaggi descritti nel libro “Ebano”. L’Africa non esiste come un’unica entità e la complessità dei suoi conflitti, che oggi occupano le prime pagine dei giornali del mondo, fuggono alla comprensione anche di chi quella regione la conosce bene.

Si parla del Mali, della Repubblica Centrafricana, del Sud Sudan e del Ruanda. Si dimentica forse il Burundi, Sierra Leone e Benin. Certo è che la zona è abbandonata a se stessa e, nonostante i conflitti sembrino una questione interna e in molti casi culturale, gli effetti geopolitici ed economici, i rischi per la sicurezza internazionale sono molti. L’Africa, in tutte le sue dimensioni, non è poi così lontana.

Vuoto africano

In un’intervista con Formiche.net, Arduino Paniccia, presidente di Task force del Nord Est per la ricostruzione in Libia e docente di Studi strategici all’Università di Trieste, ha spiegato l’urgenza di una presa di coscienza della situazione dell’Africa da parte della comunità internazionale.

“La regione sta attraversando una difficile fase di transizione. L’Unione europea e gli Stati Uniti hanno una posizione di distacco che favorisce gli obiettivi delle forze jihadiste. Il continente è abbandonato a se stesso, con sporadiche attività come ad esempio quello della Francia in Mali e l’assenza delle stesse Nazioni Unite. Questa situazione di vuoto è molto rischiosa. È necessaria l’organizzazione di una conferenza internazionale per riprendere il filo di una strategia effettiva”, ha detto Paniccia.

Conflitti tribali

Molti dei problemi dei Paesi africani sembrano questioni interne, conflitti anche tribali, che però assumono rilevanza internazionale quando contravvengono gravemente i diritti umani e un principio di sicurezza generale. Secondo Paniccia, ci sono due fasce geografiche completamente allo sbando: la fascia mediterranea, dove le rivolte non sono finite e la fascia centrale, che va dall’Atlantico all’Oceano indiano, con Paesi fallimentari e zone in mano al terrorismo e sotto guerre civili.

“Non possiamo permetterci di avere metà del continente in queste condizioni. È un problema di sicurezza generale, non solo della regione. Non si possono tollerare situazioni nelle quali vengono torturate e mutilate le persone. Esiste l’articolo 7 del trattato dell’Onu sulla ingerenza umanitaria. L’esperienza del Medio Oriente ci insegna che lasciate alla loro sorte queste situazioni si possono allungare per decenni”, ha spiegato l’analista.

Effetti economici

Non solo la questione umanitaria attira l’attenzione sull’Africa. Anche il gas e il petrolio della sponda mediterranea, e i minerali del sottosuolo della zona centrale, smuovono preoccupazioni e dubbi a livello intercontinentale. Secondo Paniccia, le condizioni di estrema povertà di questi paesi hanno giocato a favore dei gruppi terroristici e guerriglieri.

Area a rischio

Qualche settimana fa, il Mali era nell’occhio dell’uragano. Oggi sembra esserlo la Repubblica Centrafricana. Ma secondo Paniccia tutta la regione attorno al Mali – tranne il Senegal che ha una situazione particolare –, ma soprattutto la Mauritania e il Niger sono a rischio di conflitti violenti. “In tutta quella regione si sono infiltrati profondamente non solo Al Qaeda ma anche i gruppi derivati e organizzazioni secessioniste. Hanno rifugio fondamentalisti islamici e gruppi criminali transazionali”, ha detto.

Ma come diceva Kapuściński, l’Africa è un continente troppo grande e complesso per potere rientrare in generalizzazioni. Ci sono il Mozambico e il Sudafrica, per esempio, a testimoniare esempi di rinascita sociale, politica ed economica; Paesi che hanno superato in positivo i conflitti e la transizione e fanno capire che in Africa c’è ancora spazio per la speranza.

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