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Anche lo Statuto dei lavoratori figlio del compromesso storico!

Che abbaglio storico-giuridico, e’ tutto da rivedere, anche i testi di Diritto del Lavoro! Lo Statuto dei Lavoratori, la legge n.300 – tanto indigesta ai prof. ‘Goldman Sachs’, Mario Monti e Mario Draghi – non e’ stata approvata dal Parlamento nel 1970 con l’astensione del Pci! Appartiene ad un altro periodo: il 1976, ‘l’anno di grazia’ del compromesso storico, figlio naturale del ‘catto-comunismo’, camuffato, nella lunga narrazione di Palmiro Togliatti, con ‘la via italiana al socialismo’. Orbene, “quello cui si arrivo’ in Parlamento nel ’76 fu il punto di arrivo di un processo preparato a lungo dalle ‘convergenze parallele’ di Moro e Berlinguer che avevano gettato le premesse di leggi fondamentali per il Paese, dallo Statuto dei lavoratori alla riforma sanitaria”. Chi ‘ri-scrive’ la storia dello Statuto e della Riforma Sanitaria, non e’ uno storico, ne’ un giurista, ne’ un politico di professione, pur se con la politica ha avuto un lungo rapporto: consigliere e Assessore Pci alla Regione Lazio negli anni Ottanta e nel 2006 deputato Pdci. E’ lo psichiatra Luigi Cancrini nella sua rubrica dell’Unita’ di sabato scorso in risposta all’osservazione di un lettore circa la ‘non corretta’ giustapposizione tra il compromesso storico del 1976 e le larghe intese sollecitate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano oggi; tra Enrico Berlinguer e Aldo Moro nel ’76 e tra Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi oggi. Possibile uno svarione cosi’ clamoroso? Si’, e’ accaduto e molto probabilmente nella foga di voler ‘indicare’ quale unica soluzione possibile allo stallo post-elettorale ‘le larghe intese’ o ‘il governissimo’ giustificato anche per l’emergenza economica e sociale, dovuta alla crisi finanziaria iniziata nel 2008 e ancora irrisolta. Lo Statuto e la Riforma Sanitaria, sarebbero, dunque, ‘figlie’ legittime delle ‘convergenze parallele’ di Moro e Berlinguer. Ossia, del compromesso storico, dell’alleanza tra i due maggiori (ed unici) partiti italiani: la Dc e il Pci! Alleanza passata alla storia con il nome di consociativismo. Una svista? Un’improvvisa amnesia? O forse, vista l’aria che tira, si vuole sotto sotto, ‘narrare’ un’altra storia? Quella vera e’ stata che lo Statuto, la legge 300, fu approvata nel 1970 con l’astensione del Pci e la Riforma Sanitaria nel 1968: non fu completata per l’ostilita’ di una parte consistente della Dc, allergica – e a quel tempo lo era anche Moro – alle ‘riforme strutturali’ inaugurate nel 1962 con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, l’abolizione  della mezzadria e la scuola media unica pubblica, ad opera del monocolore Dc di Amintore Fanfani che il Psi appoggiava dall’esterno. Si apriva la stagione del centro-sinistra dopo la ‘legge truffa’ del 1953 e i tremendi Governi centristi dei Dc Giuseppe Pella e Fernando Tambroni: il primo faceva i disoccupati, l’altro li fucilava. E’ questo il momento in cui si gettarono ‘le premesse’ per lo Statuto reclamato vent’anni prima dal leader della Cgil, Peppino Di Vittorio, perche’ la Costituzione doveva “varcare i cancelli delle fabbriche” e sollecitato da Riccardo Lombardi in una lettera del marzo 1962 a Fanfani, per “[…] un nuovo clima nei luoghi di lavoro, maggiore liberta’ sindacale e politica, un maggiore potere ai lavoratori”. Lo Statuto, per effetto dell’autunno caldo e per l’interessamento del Ministro del Lavoro, il socialista-azionista Giacomo Brodolini che non pote’ vederne la nascita, fu approvato nel 1970. Con questa legge, l’imprenditore non aveva piu’ mano libera nell’assunzione ma soprattutto nel licenziare a propria discrezione un lavoratore: ci voleva d’ora in poi ‘la giusta causa’ (art.18) e si introdusse “il metodo della concertazione”, ossia il riconoscimento dei sindacati come ‘soggetti politici’. Brodolini istrui’ le pratiche; il giuslavorista riconosciuto come ‘padre’ dello Statuto, Gino Giugni si occupo’ della stesura e il Ministro del Lavoro, il rude e passionale, tenace ed ‘anomalo’ dc vicino al mondo del lavoro, Carlo Donat Cattin, lo presento’ in Parlamento dove fu approvato nel 1970 con l’astensione del Pci. In tutto il percorso non compaiono il metodo consociativo delle ‘convergenze parallele’ ne’ Moro e Berliguer! Con lo Statuto vennero riformati anche i rapporti di lavoro in azienda ma soprattutto si mise in primo piano la dignita’ della “persona-lavoratore”, capovolgendo il modello ‘paternalistico’ ed ‘autoritario’ allora dominante. Si limito’ la discrezionalita’ decisionale nelle organizzazioni in merito ad aspetti contrattuali attraverso la funzione sindacale e con l’art.18 sanci’ ‘la giusta causa’ contro atti discriminatori, evitando cosi’ ‘la discriminazione’ dei lavoratori attivisti sindacali e tutelando il lavoratore in caso di licenziamento per crisi aziendale, ossia per motivi economici, con il reintegro. La riforma sanitaria e’ invece del 1968 ed e’ la legge 132, opera del Ministro della Sanita’, Luigi Mariotti, il precursore dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che gli fu impedito di realizzare da una parte consistente della Dc e del Partito Liberale fortemente ostili e contrari ad un’impostazione universalistica di welfare. Con la legge 132 pero’ gli ospedali che fino ad allora facevano capoad enti di assistenzae beneficenza, subirono un radicale processo di trasformazione: vennero riconosciuti enti ospedalieri pubblici. Con questo principio si affermo’ il diritto alla tutela della salute secondo l’articolo 32 della Costituzione e il superamento del concetto storico di enti di assistenza e beneficenza. Ci vollero altri anni ancora per superare le resistenze e l’ostilita’ delle forze moderate e conservatrici prima di completare nel 1978 l’originale impostazione universalistica di welfare messa in seria discussione dai prof. Monti e Draghi. E la lezione che se ne ricava, se si vuole ri-fare una sinistra “credibile affidabile praticabile”, e’ innanzitutto non raccontare ‘panzane’ alla gente, dire quindi la verita’, come stanno le cose, riconoscere errori e ritardi quando e se dovessero verificarsi; poi che non c’e’ alternativa ad un riformismo che non cambi lo staus quo radicalmente e non produca l’inevitabile conflitto nella ‘scomposizione e ricomposizione’ dei poteri verso il basso, verso i piu’ disagiati, quelli che sono rimasti indietro: precari, disoccupati, emarginati e fasce sociali piu’ deboli ed infine che non si puo’ stare che da una sola parte, quella del mondo del lavoro.


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