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Arabia Saudita e la rivoluzione delle donne

Pubblichiamo un articolo del dossier “ Imprese italiane, Donne arabe, Contractors, Nasa” di Affari internazionali

Passo dopo passo, anzi pedalata dopo pedalata, le donne saudite hanno guadagnato un nuovo diritto: possono finalmente andare in bicicletta. Per ora potranno farlo solo per svago, controllate da un guardiano e stando attente a non inciampare nel tradizionale abito lungo che indossano. Nell’unico paese del mondo dove alle donne è ancora negato guidare, questo piccolo passo in avanti è però un segno di speranza che invoglia le attiviste a continuare la loro battaglia.

La speranza sembra invece tramontare sulla Striscia di Gaza, dove alle atlete è stato impedito partecipare alla maratona, organizzata dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, aperta anche agli uomini. Non condividendo la scelta dell’autorità locali, l’agenzia Onu ha infine deciso di cancellare l’evento. Inoltre, una nuova legge approvata da Hamas a fine marzo impone la separazione dei sessi nelle scuole. Dal prossimo anno scolastico, bambini seduti in una classe e bambine in un’altra.

Queste notizie arrivano proprio qualche settimana dopo la conclusione della 57esima sessione della Commissione sullo status giuridico e sociale delle donne in seno alle Nazioni Unite, che il 16 marzo ha approvato una dichiarazione che mira a porre fine alle violenze di genere.

No degli islamisti
Per raggiungere questo traguardo, le femministe arabe hanno dovuto faticare, visto che in numerosi paesi della regione la bozza di documento alla fine approvato ha creato numerose resistenze. In Libia ad opporsi al testo è stata parte del Parlamento.

In Egitto, il movimento islamista della Fratellanza Musulmana, espressione del governo attuale, ha bollato il documento delle Nazioni Unite come distruttivo. “Qualora venisse ratificata, questa dichiarazione, potrebbe portare alla completa disintegrazione della società” – si legge sul comunicato pubblicato il 14 marzo sul sito della Confraternita islamista – “Segnerebbe la fase finale dell’invasione intellettuale e culturale dei paesi musulmani, eliminando la specificità morale che aiuta a preservare la coesione delle società islamiche”.

Elencando dieci punti del documento che i paesi musulmani dovrebbero contestare, i Fratelli musulmani hanno spiegato che tale dichiarazione darebbe libertà sessuale alle ragazze, abolirebbe la poligamia, legalizzerebbe l’aborto, aiuterebbe gli adolescenti a utilizzare i contraccettivi, garantirebbe parità di diritti per gli omosessuali e fornirebbe protezione alle prostitute. In aggiunta, garantirebbe alle donne parità nel matrimonio e nelle questioni ereditarie.

È’ per opporsi a tutto questo che Egitto, Iran, Pakistan Qatar e Arabia Saudita avrebbero formato una “Santa alleanza” per far deragliare la dichiarazione, appellandosi al rispetto della libertà di culto. A criticare alcuni aspetti del documento sono stati anche Honduras, Vaticano e Russia. Secondo fonti che hanno preferito rimanere anonime, il Cairo avrebbe anche provato a proporre emendamenti al testo, ma questa operazione non è andata a buon fine.

A impedire alla Confraternita di imporre la sua visione potrebbe essere stato il pressante lavoro delle organizzazioni che si occupano della difesa delle donne. Queste hanno infatti accusato la Fratellanza di invocare il rispetto della libertà religiosa per evitare in realtà ogni cambiamento dell’atteggiamento maschile nei confronti delle donne.

Voci egiziane
La delegazione egiziana arrivata al palazzo di vetro comprendeva non solo Pakinam Al-Sharkawi, assistente presidenziale per gli affari politici ai vertici della delegazione, ma anche Fatima Khafagi e Mervat al-Tellawi, capo del Consiglio nazionale per le donne. Mostrandosi contrarie a quanto detto da Al-Sharkawi, le altre due componenti del gruppo hanno abbandonato la sessione nella quale parlava la capo delegazione, mostrando quindi una spaccatura interna che riflette il dibattito in corso nel paese.

In un comunicato rilasciato in seguito a quello della Fratellanza, il Consiglio nazionale per le donne ha spiegato che il documento delle Nazioni Unite non viola alcun aspetto della sharia, la legge islamica. Nehad Abul Qomsan, direttrice del Centro egiziano per i diritti delle donne ha poi criticato il conservatorismo della Fratellanza ricordando che “l’Egitto si è storicamente schierato a fianco di iniziative di liberazione all’interno delle Nazioni Unite, mentre ora si sta schierando tra le file degli oppressori”. Il Cairo non si starebbe sforzando per ridurre un fenomeno di violenza mondiale che è chiaramente visibile lungo il Nilo.

Abusi
Il numero dei casi di violenza sessuale che vengono alla luce in Egitto è in costante crescita. Anche se per interpretare correttamente questo dato bisogna ricordare che ad essere aumentato è soprattutto il numero delle denunce da parte delle donne, il fenomeno è troppo preoccupante per essere ignorato.

Ad accorgersene è stato anche il governo, che ha iniziato a lavorare su un progetto di legge che criminalizzi la violenza sessuale. Nel suo intervento alle Nazioni Unite, Al-Sharkawy ha lodato la nuova Costituzione, sottolineando come questa rispetti i diritti delle donne. Secondo lei, le aggressioni dipendono dalla scarsa presenza di polizia nelle strade egiziane.

Per le organizzazioni femministe il problema è però molto più radicato. Gli islamisti più conservatori continuano ad additare le donne come prime responsabili delle violenze di cui sono vittime, cercando quindi di convincerle a non raccontare quanto subiscono. Il costante aumento delle denunce mostra però che le donne hanno sempre meno paura di uscire allo scoperto per raccontare le violenze che subiscono e di cui si sono vergognate per troppi anni.

Azzurra Meringolo è dottoressa in Relazioni internazionali presso l’Università di Bologna. Ha ottenuto il dottorato con una tesi su “L’anti-americanismo egiziano dopo l’11 settembre: governo e opposizione nello specchio dei media”, che si è aggiudicato il premio Maria Grazia Cutuli. È autrice de “I Ragazzi di piazza Tharir” e vincitrice del premio giornalistico Ivan Bonfanti 2012.



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