Pubblichiamo grazie all’autorizzazione dell’autore, il commento di Francesco Cundari uscito oggi sul quotidiano l’Unità
Il Corriere della Sera apriva ieri con un titolo forte: “L’atto d’accusa delle imprese – ‘Noi chiudiamo, voi discutete del prezzo del caffè alla buvette'”. Il virgolettato era del presidente della Confindustria emiliana, Maurizio Marchesini, giustamente disperato perché “da quaranta giorni si discute del prezzo del caffè alla buvette di Montecitorio e intanto attorno ci casca il mondo e si stanno perdendo occasioni di sviluppo”.
Analisi impeccabile e indignazione più che comprensibile: dal giorno dopo le elezioni, invece di discutere delle scelte necessarie per affrontare la crisi più grave dal dopoguerra, discutiamo di questo genere di cose. Anche perché alle ultime elezioni gli italiani hanno dato il 25 per cento dei consensi a un partito che su questo genere di cose ha fatto la sua fortuna. E che non sembra minimamente intenzionato, neanche adesso che rappresenta il secondo partito del Parlamento italiano, né a occuparsi d’altro né a lasciare che lo facciano altri, per poter meglio continuare a ripetere che tutto va in malora.
C’è un punto, però, su cui il grido di dolore del dirigente di Confindustria, rilanciato con tanta forza dal Corriere della Sera, suscita qualche perplessità. A essere obiettivi, infatti, non è da quaranta giorni che si discute solo del prezzo del caffè alla buvette di Montecitorio o della spigola al ristorante del Senato: sono anni che non si discute d’altro.
Si possono nutrire le opinioni più diverse sulla qualità, gli obiettivi, gli esiti controintenzionali della campagna contro la “casta”, lanciata proprio dal Corriere della Sera sin dal 2007. Sul tema c’è ormai un’amplissima bibliografia. Si può sostenere, come Filippo Astone nel suo saggio sul potere di Confindustria, Il partito dei padroni, che quella lunga serie di articoli, sacrosanti in sé e per sé, sia stata piegata a una campagna martellante dalla Confindustria di Luca di Montezemolo. Una campagna fondata sulla speranza – rivelatasi vana – che il disgusto per la politica in generale avrebbe provocato il ridimensionamento tanto del centrodestra quanto del centrosinistra, aprendo la strada alla sua discesa in campo.
Si può sostenere, con Carlo Freccero, che proprio il successo del libro nato da quella campagna – La casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo – sia stato alla base dell’affermazione del grillismo, molto più di internet e dei blog.
Si può sostenere che sia un grande merito oppure una grave responsabilità, ma una cosa non si può negare: se da anni discutiamo dei prezzi della buvette della Camera o della mensa del Senato, almeno questo, abbiate pazienza, non è colpa della politica. Almeno questa vibrante accusa, sul Corriere della Sera, andrebbe – se non altro – meglio circostanziata. Perché da anni su quelle stesse pagine, con un’enfasi paragonabile solo ai resoconti di guerra, vediamo rivolgere alla politica l’accusa diametralmente opposta.
Va anche detto, per onestà, che le paginate sul costo dell’acqua minerale alla Camera o del salmone al Senato da tempo riempiono tutti i giornali, telegiornali e siti di informazione del Paese. La si consideri una vittoria del senso civico o dell’antipolitica, una grande presa di coscienza o una gigantesca presa in giro, è indiscutibile che il lessico, le categorie, la visione del mondo contenuti nella campagna contro la “casta” e i “costi della politica” sono ormai il linguaggio comune del nostro sistema dell’informazione, dei nostri intellettuali, del mondo della comunicazione e della cultura a tutti i livelli: dai raffinati maître à penser provenienti dall’estrema sinistra degli anni Settanta agli adolescenti che nei commenti al blog di Beppe Grillo digitano le loro invettive contro la “ka$ta”.
Oggi che la crisi impone ben altra scala di priorità, il Corriere riporta lo sfogo degli industriali emiliani contro i dirigenti del Pd incapaci di leggere il risultato del voto. Ma qui è difficile non vedere, come minimo, una certa ingenerosità, con il tentativo di fare troppe parti in commedia. Prima alimentando irresponsabilmente la rivolta contro la politica in generale e poi lamentandosi perché il risultato è un Parlamento che sa discutere solo dei prezzi della buvette.