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Perché la lingua delle imprese non è quella della Bce

“Se le banche in alcuni Paesi non prestano a tassi ragionevoli, le conseguenze per l’Eurozona sono gravi”. La considerazione del presidente della Bce, Mario Draghi, arriva dopo che le imprese, se non morte, sono comunque in fin di vita stroncate da quella malattia paralizzante che si chiama credit crunch. Bel tempismo da Francoforte, verrebbe da dire, ma l’appello di Draghi sottolinea anche la distanza fisica della Bce dal mondo imprenditoriale. Che la Bce non sappia nulla degli effetti distorsivi dei finanziamenti Ltro che si sono fermate nelle casse degli istituti? E il progressivo adeguamento ai criteri decisi da Basilea sulla patrimonializzazione, che contribuisce a togliere linfa alle imprese?

Secondo Draghi ”è particolarmente sconcertante” che le pmi soffrano più delle grandi aziende, ”dato che fanno i tre quarti dell’occupazione”.

La vigilanza bancaria europea

Certo, ha sottolineato Draghi, il meccanismo unico di sorveglianza appena approvato a livello europeo è ”un primo e importante passo” verso l’unione bancaria. Ora, ha proseguito ”vorrei sottolineare l’importanza di affiancarlo con un meccanismo unico di risoluzione”, cioè del potere di ristrutturare e gestire preventivamente i fallimenti bancari. Ma il presidente dell’Eurotower sa qual è l’avversione, anche tedesca, al progetto.

L’adozione di misure non convenzionali nel mondo

Se negli Usa di Barack Obama le banche sono tornate a fare le banche, ciò deriva anche dalla struttura federale del Paese che garantisce anche una politica fiscale omogenea, a differenza di quanto succede in Europa. “La maggior parte delle misure non convenzionali adottate dalle banche centrali in giro per il mondo sono molto simili”, ha detto il presidente della Bce, sottolineando che solo ”l’approccio è diverso” e che la Bce ”opera in un contesto particolare”, con 17 Paesi.

Il rischio nell’eurozona

Il numero uno dell’Eurotower spiega che, ”a differenza di Paesi con una vera e propria struttura federale o con un’unica autorità di bilancio, l’eurozona è composta da diversi Paesi sovrani”. E quindi ”il debito di ognuno di questi ha caratteristiche diverse per quanto riguarda la liquidità e il profilo di rischio”. Pertanto, conclude Draghi, ”non c’è una misura univoca per definire il premio di rischio nell’area euro”. Ma Draghi sa qual è l’opposizione, anche tedesca nella persona del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, alla possibilità che Draghi usi le armi, pur non potentissime, che lo Statuto della Bce gli riserva. E che è la Germania ad opporsi agli Eurobond.

Più tagli alla spesa pubblica

Secondo Draghi, non c’è nessuna guerra delle valute. Il presidente dell’istituto di Francoforte ha ribadito che la politica monetaria della Bce rimarrà ”molto accomodante” e che tagliare la spesa pubblica per risanare i bilanci è ”più favorevole alla crescita” rispetto agli aumenti di pressione fiscale. Ma Draghi sa che l’austerità imposta ai Paesi dell’Unione non si indebolirà, almeno fino al voto tedesco di settembre. E che il super euro taglia il filo dell’export delle economie in crisi? Sì, Draghi sa anche quello.


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