Grazie all’autorizzazione dell’editore, pubblichiamo l’articolo di Marco Bertoncini apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
La lontananza fra Pd e Pdl (attutita da un numero sempre più esteso di esponenti anche non ostili alla segreteria democratica, ma rinsaldata da parole più volte pronunciate da Pier Luigi Bersani) appare a molti un residuo di quella politica che l’esito delle ultime elezioni ha dimostrato essere molto impopolare. Basta riflettere alle molteplici denominazioni che si vogliono affibbiare all’intesa.
I democratici propendono per “governo di cambiamento” (difficile che sia tale un esecutivo capeggiato da un professionista di partito, alla guida del partito di maggioranza relativa), Arcore replica puntando su “governo di responsabilità”, termine che non indica alcunché. Tutti negano di volere un governissimo, dizione reietta, e discettano di larghe intese, che il Pd vorrebbe confinare alle riforme istituzionali, ma insieme estendendole alla quasi unanimità. Pochi accennano a una riedizione del compromesso storico, quale invece si potrebbe dipingere. Per molti, viceversa, risulta corrente il termine inciucio.
Ancora, però, nessuno ha capito quale potrebbe essere la struttura del governo; nulla, poi, si sa del programma. Eppoi, prima ancora dell’esecutivo è in discussione l’elezione presidenziale. Buio completo pure su questo rilievo. Insomma: è un tira e molla che ricorda antichi giochi, lasciando interdetti gli elettori. A un mese e mezzo dalle elezioni, tutto resta fermo.
Chi intinge il biscotto della polemica in questa stasi è il M5S, che infatti, pur tra infantilismi e dissensi interni esaltati da republicones & C., si diverte a denunciare l’incapacità dell’intero mondo politico tradizionale a produrre una soluzione, una che sia una. I vertici del Pd e del Pdl non capiscono il discredito che continua a investirli.