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Cala la spesa militare, ma non in Russia e Cina

Per la prima volta in 15 anni cala l’ammontare delle spese militari nel mondo. E per la prima volta dal disfacimento dell’Unione Sovietica la quota degli Stati Uniti sul totale globale è scesa sotto il 40 per cento. Le cifre sul 2012 elaborate dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) fissano la spesa militare a 1.330 miliardi di euro, in calo dello 0,5 per cento rispetto all’anno precedente.

A incidere sulla prima contrazione dal 1998 è l’austerità e i tagli. A far registrare un segno più sono sia la Cina sia la Russia e in crescita sono anche le spese militari in zone tradizionalmente calde come il Medio Oriente (+8,4 per cento).

“Ciò cui stiamo assistendo è uno spostamento negli equilibri dai ricchi Paesi occidentali alle regioni emergenti”, ha detto Sam Perlo Freeman, direttore del programma sulle spese militari e la produzione di armi dell’istituto svedese. Una tendenza che potrebbe durare anche nei prossimi due o tre anni e comunque fino al ritiro delle truppe dall’Afghanistan.

Gli Stati Uniti, nonostante la flessione, continuano a primeggiare, ma si assottiglia il divario con la Cina. Se prima il rapporto in questo settore tra le due più grandi economie al mondo era di sette a uno, nel 2012 si è attestato sul quattro a uno. In dollari si parla di 682 miliardi (520 milioni di euro) messi dagli Usa contro i 166 miliardi cinesi (127 miliardi di euro).

Se tuttavia si passa dalla quantità alle effettive capacità, ha spiegato Perlo Freeman all’Associated Press, Washington continua a primeggiare. Di suo Pechino ci mette tuttavia una spesa in crescita, di cui sono simboli la prima portaerei, i test di aerei da combattimento con tecnologia stealth e la presentazioni di propri droni all’Air Show di Zhuhai. Rispetto all’anno precedente ha fatto registrare un più 7,8 per cento, che diventa un più 175 per cento se si prende come termine di paragone il 2003.

Gli aumenti in Cina, che ha anche superato la Gran Bretagna come quinto esportatore di armi al mondo, vanno di pari passo con quelli della regione dell’Asia e del Pacifico diventata fulcro della nuova strategia statunitense e attraversata da tensioni per le dispute territoriali che oppongono proprio Pechino al Giappone a a Paesi del Sudest asiatico, come Filippine e Vietnam, e chehanno portato al riarmo nell’area che ha fatto registrare un più 3,3 per cento. In crescita del 16 per cento anche le spese russe.

Arisentire di queste dinamiche globali, scrive il Financial Times, potrebbero essere anche i grandi nomi europei e statunitensi del settore, stretti tra un mercato tradizionale che fa i conti con l’austerità, la concorrenza dei produttori rivali e l’essere tagliati fuori dai due mercati emergenti: da quello cinese per l’embargo in vigore dai tempi del massacro di Tian’anmen e da quello russo per la predilezione di Mosca verso le industrie di casa.

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