Quando il governo Monti ha compiuto un anno dal suo insediamento, due quotidiani molto diversi fra loro – Il Sole 24 Ore e Il Fatto Quotidiano – sono usciti lo stesso giorno con le pagelle ai singoli ministri. I giudizi sono stati molto diversi fra loro, ma non tutti. Per esempio, il giornale di Confindustria e quello di Travaglio hanno condiviso il nome del migliore dei ministri. Per entrambi, Fabrizio Barca si era rivelato il membro del governo più capace. L’opinione del Sole e del Fatto è effettivamente largamente diffusa, almeno fra gli addetti ai lavori.
Non è trascurabile il fatto che una persona orgogliosamente di sinistra, venga apprezzata trasversalmente anche dagli ambienti più vicini alle imprese e all’economia. Non è quindi un caso che il dichiarato impegno politico del tecnico Barca abbia suscitato molto interesse. Il ministro della Coesione territoriale potrebbe essere una serissima alternativa alla leadership di Matteo Renzi. Ovviamente, nessun pasto è gratis.
La discesa nel campo della competizione politica offre una grande adrenalina e non poche soddisfazioni ma anche numerosi ‘rischi’. Qualunque cosa detta o anche solo accennata diventa oggetto di discussione e di polemica. Barca deve averne pagato uno scotto, forse imprevisto, sabato mattina con l’intesa di Pd, Pdl e Sc sul nome di Giorgio Napolitano. La nuova icona della sinistra italiana aveva appena twittato un messaggio di sostegno all’ipotesi di sostegno Pd alla candidatura di Stefano Rodotà. Apriti cielo!
Meno di 140 caratteri nel momento sbagliato hanno causato una vera e propria bufera. Lo stesso Barca è dovuto intervenire la sera ancora su Twitter e l’indomani con due interviste, a La Stampa e a l’Unità. L’incidente, se così si può dire, è rientrato. Il ministro ha ribadito il sostegno e la stima nei confronti di Napolitano ma anche l’attenzione a tenere viva la relazione con tutto ciò che è a sinistra del Pd.
Certo, fa impressione leggere un uomo dalla cultura (politica ma anche isitituzionale) come Barca che confonde il profilo del Capo dello Stato con l’identikit dell’uomo o della donna che meglio sintetizza l’idea di “sinistra”. Non è un caso che i leader della Dc (De Gasperi, ma neppure Fanfani, Andreotti, Forlani) o del Psi (Nenni o Craxi) non siano mai saliti al Colle. I grandi elettori hanno sempre avuto in testa l’idea di mandare al Quirinale la persona che meglio poteva fare lì, come Presidente di tutti e non come simbolo di una parte. Alcune volte le scelte possono non essere state felici ma lo spirito era e dovrebbe essere sempre quello.
La febbre elettorale e l’anemia di buona politica conducono tutti, anche i più bravi, a commettere errori di iper-presenzialismo. All’ottimo Barca ci permettiamo di suggerire, con stima pari a franchezza, calma e sangue freddo: tempo e misura sono sensibilità che in questi anni si sono disperse. Chi vuole rappresentare una positiva discontinuità dovrebbe ripartire da qui. E dalla consapevolezza che tanto è più forte l’identità tanto è più forte la capacità del dialogo. Altrimenti è solo ottusa faziosità. E non è questo il caso, siamo convinti, di Fabrizio Barca.