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Cose strane, ma non troppo. Aeroporti italiani e compagnie low cost

Sarà un dettaglio ma non lo è. A bordo di una compagnia low cost verso una capitale europea prendi e noti che tutte le comunicazioni rivolte dall’equipaggio ai passeggeri avvengono prima in inglese, quindi nelle lingue dei paesi di partenza e destinazione. Tutte, tranne una. Tranne il messaggio che lancia la solita lotteria. Ecco, questo messaggio è dato prima in italiano.

Sarà un dettaglio ma non lo è. Appena atterri, trovi un clima così rigido che rimpiangi il riscaldamento globale.

Sarà un dettaglio ma non lo è. Come mai in Italia nessun imprenditore ha messo su una compagnia low cost? Forse perché da noi, poiché le imprese più grandi hanno sempre qualche garanzia o contributo pubblico, ai nostri imprenditori sentire parlare di low cost deve fare mettere in piedi il pelo sull’avambraccio. Se è un’impresa con costi bassi, la bad company poi a cosa serve?

Sembra strano ma non lo è. L’aeroporto di Cuneo fa due cento mila passeggeri l’anno. Ottocento al giorno. Forse peggio di Reggio Calabria. Ma a Reggio Calabria è ovvio che deve funzionare male perché insomma, che te lo dico a fare. Ma allora a Cuneo il problema qual è?

Sembra strano ma non lo è. L’aeroporto di Aosta è chiuso da cinque anni per un contenzioso sorto tra soggetti pubblici e privati. Sempre la solita storia. Ecco ogni due, tre mesi, sui giornali, compare la notizia che l’aeroporto sta per aprire e, qualche giorno dopo, alzate la testa di qualche centimetro mentre lo pronunciate nzu, niente. Non apre. Insomma anche ad Aosta, e non vorremmo che la Svizzera d’Italia ne abbia a offendersi, gli è finita peggio del Magliocco di Comiso. Dove è logico che le scale mobili debbano mettere le radici.


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