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Deng, Thatcher e il ritorno di Hong Kong alla Cina

Il piccolo timoniere e la signora di ferro seduti su due divanetti rossi a parlare di Hong Kong e del suo ritorno alla Cina. Nel febbraio del 1984 Margaret Thatcher era a Pechino per partecipare assieme a Deng Xiaoping alla cerimonia per la dichiarazione congiunta sino-britannica sulla questione della ormai ex colonia britannica, cui si era arrivati dopo 21 sessioni di negoziati.

Due anni prima la leader conservatrice aveva tentato di convincere il leader cinese della possibilità che Hong Kong potesse continuare a essere amministrata da Londra anche dopo la scadenza del del regime d’affitto per 99 anni limitato ai cosiddetti nuovi Territori, mentre sia Hong Kong sia Kowloon, in base ad accordi precedenti, sarebbe continuati a essere britannici. Deng si imputò. E così il primo luglio 1997, quattro mesi e mezzo dopo la morte del piccolo timoniere, l’ormai ex colonia tornava alla Cina sotto la politica del un Paese due sistemi.

Trascorsi 15 anni e mezzo dal cosiddetto handover, non di rado la volontà popolare si scontra contro le leggi ispirate da Pechino, nonostante l’autonomia di cui Hong Kong gode.

In occasione del recente referendum con cui le Falkland hanno rimarcato la volontà di restare britanniche trent’anni dopo il conflitto che oppose la Gran Bretagna all’Argentina che le rivendica come Malvinas, il quotidiano South China Morning Post, chiedeva agli hongkongesi se loro fossero favorevoli o no tornare a essere un territorio d’oltre mare.

Il 90 per cento di quanti hanno risposto ha detto sì. La consultazione del quotidiano non ha valore scientifico, ma basta a far comprendere il clima di distacco da Pechino, rimarcato anche dalle ex bandiere coloniali che sventolano nelle manifestazioni antigovernative. Per alcuni si tratta di una pericolosa rimozione della storia della città tra i giovani.

Il fenomeno si lega tuttavia alle accuse contro i cinesi del continente di sfruttare i servizi della città, a esempio le mamme cinesi che vanno a Hong Kong per partorire, e imputano loro l’aumento del costo della vita e le disuguaglianze tra ricchi e poveri. Rimostranze cui si uniscono le richieste di maggiore democrazia e più libertà nelle scelte locali, con il governo ritenuto troppo condizionato dall’influenza delle forze filopechinesi.



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