Skip to main content

Corea: missili e testate nel dossier riunificazione

Il dossier coreano mette in scena il classico dilemma della politica internazionale, ovvero il rapporto tra potenza economica e potenza militare. In che modo la prima si traduce nella seconda, e dunque in che modo il peso di un Paese nel mercato mondiale in termini di esportazioni, valore aggiunto industriale, presidio degli snodi e delle filiere globali supera la soglia critica per cui può alterare gli equilibri geopolitici regionali?

Ascesa economica e ascesa militare
Nei trattati in particolare della scuola realista e kissigneriana è invalso per decenni il “modello prussiano”: protezionismo commerciale regionale, ambizioni continentali, una politica accomodante verso le aspirazioni di potenza dei grandi gruppi e la traduzione in uno strumento militare flessibile e pronto all’uso su scala globale. Infine, lo scoppio della Prima guerra mondiale per rovesciare gli equilibri esistenti. Questi passaggi in sequenza non hanno però il valore di una regola aurea, anche perché si verificarono in condizioni assolutamente particolari, ovvero in quell’equilibrio quasi perfetto tra alleanze di potenze che segnò l’Europa nell’immediato pre-1914.

Il modello europeo
La realtà è che non esiste una soluzione univoca al dilemma, e la storia ha sempre più fantasia di qualsiasi schema concettuale. Il secondo dopoguerra, per esempio, è stato il periodo dei “giganti economici” e “nani militari”: Germania, Giappone e in misura minore Italia. Ciò è avvenuto prevalentemente per gli assetti stabiliti dai vincitori. Già la soluzione dell’integrazione europea, delineatasi con forza negli anni Ottanta, risolveva in parte questo squilibrio mettendo in comune gli strumenti militari di Francia e Gran Bretagna, potenze nucleari ex-coloniali. Poiché nel frattempo però la dinamica delle potenze si è accelerata in tutto il mondo, erodendo il vantaggio realizzato con il crollo dell’Urss, anche questa soluzione tende a dimostrarsi inadeguata. L’India è un altro esempio difficile da decifrare.

Divergenti dinamiche asiatiche
Secondo l’Economist, l’India del XXI secolo è una grande potenza in cui “la ricerca di uno status adeguato alla sua crescente forza economica rimane esitante ed incerta” per una serie di retaggi culturali e storici (il confronto con il Pakistan in particolare, ma anche l’indipendenza e il provincialismo dei vari “feudi” militari) che agiscono come demoltiplicatore di potenza. La Cina potrebbe essere più vicina al “modello prussiano” classico di sequenza (ascesa economica-influenza politica-potenza militare), ma bisogna considerare il carattere, sfuggente per il realismo occidentale, di “dissuasione globale” più che di attacco diretto agli equilibri mondiali.

Il paradosso coreano
La Corea del Nord sviluppa tecnologie nucleari da diverso tempo, ed è in rapporti con Siria, Iran e Pakistan. Si tratta di un “nano economico” che vuole diventare “gigante militare”, con tecnologie missilistiche da élite spaziale. Ma ha una caratteristica storica particolare e unica: è la metà militarizzata di una nazione che, nel complesso, rappresenta una potenza economica non indifferente. Seul è il 12° Stato più industrializzato del mondo. Ecco perché i missili a medio e lungo raggio di Pyongyang spaventano di più di quelli di Damasco e Islamabad, e perfino di Teheran. La Corea del Sud potrebbe trovare conveniente ridurre la corsa riarmistica in cui è impegnata e che la rende dipendente dai mercati militari esteri, sottraendo risorse allo sviluppo; proporre tavoli di riunificazione e un giorno assorbire la forza nucleare del Nord.

L’asso nucleare nella partita est-asiatica
Il caratteristico tono di sfida nazionalistico di Pyongyang ha orecchie più attente in Asia che negli Stati Uniti. Washington è contrario al programma nucleare nordcoreano, ma soprattutto vuole contare nella ridefinizione dei rapporti in atto tra le tre maggiori potenze (Cina, Giappone e Corea del Sud). In un possibile, futuro mercato unificato dell’Asia orientale, ricalcato sul modello della Cee (quindi con una moneta comune), Seul è quella che ha più da perdere da una cessione di sovranità monetaria. Il suo won sarebbe probabilmente travolto in un paniere costruito per riflettere il posizionamento internazionale di Yen e Yuan. E’ forse anche su questi calcoli che punta l’azzardo del regime del Nord. Seoul non potrà sedersi al tavolo dei “grandi” del Far East se non avrà in mano qualche chance di riunificazione, e, magari implicitamente, qualche tecnologia-chiave “presa in saldo” dal Nord.



×

Iscriviti alla newsletter