Non si sa ancora se e quando Bashar al Assad cadrà. Ma nelle stanze del Palazzo di Vetro alle Nazioni Unite si prepara già un piano per il dopo. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha affidato al suo vice, Jan Elliason, il compito di dare una risposta al cosa accadrà dopo, rivela l’emittente pan-araba al Jazeera.
Il nome del piano è “Syria – The Day After”. Parte dalla constatazione che dopo i conflitti in Iraq e in Afghanistan sia gli Stati Uniti sia gli alleati Nato non sembrano intenzionati a occuparsi direttamente della ricostruzione della Siria. L’Onu è indicata come l’organizzazione cui spetterà con ogni probabilità il compito. Le ipotesi sul piano dei funzionari delle Nazioni Unite sono diverse. La prima riguarda l’invio di osservatori che tutelino la minoranza alawita, dalla cui proviene lo stesso Assad, da ritorsi e vigilino sul rispetto dei diritti umani.
C’è poi l’opzione umanitaria con l’invio di rifornimenti medici e d’aiuto. Infine non è esclusa l’ipotesi di invio di forze di peacekeeping, sebbene per quest’ultima soluzione occorrerebbero sia tempo sia il voto del Consiglio di sicurezza, in cui le posizioni sulla questione siriana sono tutt’altro che omogenee e dove peserà in particolare l’incognita della decisione russa, principale alleato di Damasco, che però non chiude il dialogo con i rappresentanti degli Stati Uniti, dell’Onu e della Lega araba.
Da parte statunitense, nonostante le esortazioni di settori del Congresso, l’amministrazione Obama non sembra disposta a un coinvolgimento diretto nel conflitto siriano. Altro discorso è invece quello della fornitura di armi ai ribelli con il New York Times ch ha documentato il flusso di armi tramite la Giordania, fornite dalle monarchie del Golfo e del quale la Cia sembra essere al corrente, se non sostenitrice. Francia e Gran Bretagna sono invece per armare le forze d’opposizione al presidente Assad, ma a fermarle è il no dei partner europei.
Per le potenze occidentali, ricorda l’emittente qatariota, la priorità è tenere d’occhio gli armamenti chimici del governo siriano. La diffidenza verso le fazioni più estremiste della composita galassia anti-Assad ha fatto in modo che le informazioni in possesso dei servizi occidente non siano condivise con questi gruppi. Allo stesso tempo si teme che il governo possa tentare un ultimo colpo di coda con gli armamenti chimici. Uso di cui le due parti si sono accusate a vicenda.
C’è poi il capitolo della crisi umanitaria. I rifugiati hanno superato il milione lo scorso 6 marzo. Al Jazeera ha analizzato anche agli obiettivi degli altre forze in campo. La Turchia, che ha ospita almeno 300mila rifugiati, guarda agli sviluppi nel campo dei curdi di Siria, quando è trascorsa poco più di una settimana dalla tregua annunciata dal leader del Pkk Ocalan.
Settori dei generali vorrebbero invece prendere il controllo di parte del territorio siriano, riferisce l’emittente. Le petromonarchie del golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar, cui è legata al Jazeera, potrebbero continuare in futuro a far valere la propria influenza con armi e soldi. Israele guarda invece alla sicurezza delle alture del Golan occupate.
Secondo quanto riferito dall’emittente araba, il governo israeliano vorrebbe creare una zona di contenimento. Inoltre una relazione più stretta con la Turchia è considerata un modo per proteggersi da un ipotetico collasso della Siria. E in quest’ottica forse va vista anche la telefonata di riavvicinamento fatta dal premier Bejamin Netanyahu a suo omologo turco Erdogan, dopo tre anni di crisi diplomatica per l’assalto delle teste di cuoio israeliane alla nave di pacifisti Mavi Marmara.