Skip to main content

Ecco come i grandi elettori hanno violato la Costituzione

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione della direzione del Tempo e dell’autore, il commento di Federico Guiglia uscito oggi sul quotidiano Il Tempo diretto da Sarina Biraghi

E sì che li chiamano “grandi elettori”, quasi a volerli distinguere dagli elettori “comuni mortali”, ossia gli oltre cinquanta milioni di italiani con diritto di voto in patria e all’estero.ù

E sì che questo corpo molto particolare, costituito da 1007 tra parlamentari e delegati regionali, partecipa alla più importante e duratura elezione prevista dalla nostra Carta: i sette anni, rinnovabili, del presidente della Repubblica. E sì che, a due mesi dalle trascorse votazioni politiche, senza nuovo governo e nel pieno di una pesante crisi economica, il momento della scelta dovrebbe essere così solenne che più solenne non si può.

Eppure, oltre alla catastrofe del Pd e dei suoi candidati “auto-impallinati” con grave danno per il senso delle istituzioni e per l’immagine nazionale e internazionale dell’Italia, stiamo assistendo a un’incredibile violazione delle più elementari regole di segretezza del voto. Di più: alla dichiarata, rivendicata e perfino fotografata violazione delle norme.

Dice la Costituzione: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto” (articolo 48). Aggiunge la legge dello Stato: chi viola nel seggio il principio della libertà e segretezza del voto, “è punito con l’arresto da tre a sei mesi e un’ammenda da 300 a 1000 euro” (legge 96 del 2008). Guai, dunque, a entrare in cabina con un telefonino, come sanno tutti i cittadini. E se per caso lo dimenticano, diversi cartelli al seggio, gli scrutatori o presidenti s’incaricano di ricordarlo. Tant’è che un ragazzo al suo primo voto, non può fotografarlo. Neanche per tenerselo come un caro, innocente ricordo.

Tuttavia, in barba alla legge e alla Costituzione, alcuni grandi elettori hanno addirittura sventolato la fotografia del loro voto per Prodi per non passare da traditori rispetto agli impegni presi col proprio partito. Addirittura un ex ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha esibito alle telecamere il cellulare con la scheda elettorale che aveva fotografato a riprova della sua lealtà politica. E un’altra trentina di ex popolari avrebbero fatto altrettanto, secondo le ricostruzioni.

Non solo. Nichi Vendola, leader del Sel e presidente della Regione Puglia, ha dichiarato che i suoi hanno scritto sulla scheda “R. Prodi” proprio per distinguersi dagli altri e poter così dimostrare, in caso di dubbi o sospetti (cioè proprio nel caso scoppiato nel centro-sinistra dopo le bocciature di Marini e di Prodi), che non avevano cambiato idea nel segreto dell’urna. Insomma, hanno reso il voto identificabile, l’hanno “organizzato”, ancora una volta non rispettando l’abc delle elezioni: il voto non può essere riconoscibile! Perché, se lo fosse, verrebbe meno il principio supremo della “libertà personale” e della segretezza del medesimo.

Trovo inaudito che fior di Fioroni e di personalità istituzionali quali il governatore della Puglia, pur nel nobile tentativo di testimoniare la loro buona fede e il rispetto della parola data, abbiano assunto un comportamento che nessun cittadino italiano potrebbe mai azzardarsi ad assumere, quando va a votare. E qui, oltretutto, non si votava nell’assemblea di un condominio, ma nell’aula della Camera riunita in seduta comune (accade una volta ogni sette anni) per esprimere la più alta figura della Repubblica: il capo dello Stato che “rappresenta l’unità nazionale” (articolo 87).

La politica continua a non capire l’importanza di “dare l’esempio” al Paese. Ma i presidenti delle Camere e gli eccellentissimi scrutatori impegnati nella conta in Parlamento hanno niente da dire su questa così plateale violazione delle regole elettorali?

×

Iscriviti alla newsletter