L’America respira. Dopo le bolle immobiliari e lo scandalo subprime, sono serviti quattro anni per spazzare via i titoli tossici che i grandi gruppi bancari avevano in pancia. O quantomeno, passata la paura del giorno dopo, le invenzioni contabili stanno nascondendo bene quelli che potrebbero far tremare domani. D’altra parte non poteva essere diversamente, con gli 85 miliardi di dollari che la Fed pompa mensilmente nell’economia reale Usa. Quello del credit crunch è un problema a cui la Banca centrale Usa sembra guardare da lontano, più o meno dall’altra sponda dell’Atlantico.
Una capitalizzazione raddoppiata in un anno
L’economia americana ”è significativamente più forte di quattro anni fa ma ancora lontana da dove vorremmo che fosse”, ha affermato il presidente della Fed, Ben Bernanke. ”Dato che il credito a famiglie e imprese è essenziale per la crescita economica, è positivo per la ripresa che le banche siano notevolmente più forti di qualche anno fa”. ”I risultati dei recenti stress test continuano a riflettere i miglioramenti della condizione delle banche. Per esempio le perdite aggregate previste nello scenario peggiore degli stress test di quest’anno sono il 7% inferiori a quelle comparabili dello scorso anno”, ha messo in evidenza Bernanke, precisando che il tier 1, aggregato dei 18 maggiori istituti di credito, è più che raddoppiato. Maggiori livelli di capitale consentono alle società di essere in una posizione migliore per assorbire future perdite continuando ad adempiere al loro vitale ruolo nell’economia”.
Le funzioni degli stress test
”Metodologicamente, gli stress test si concentrano su rischi improbabili ma plausibili e la diffusione dei loro risultati offre ai partecipanti del mercato non solo una visione più profonda della forza finanziaria di ogni singola banca ma anche una visione della qualità della gestione del rischio e del capitale”.
L’azione della Fed
Potendo contare su nuovi poteri grazie al Dodd-Frank, spiega Bloomberg, la Fed ha obbligato le maggiori banche ad impegnare gli utili per la capitalizzazione, rafforzandosi contro eventuali perdite. La Fed ha sottolineato che 17 delle 18 più grandi banche statunitensi, tra cui JPMorgan Chase e Goldman Sachs, potrebbero affrontare una forte recessione mantenendo i livelli di capitalizzazione al di sopra della soglia minima prevista.
Fed vs Bce
Il confronto con gli istituti europei resta difficile, sebbene le banche del Vecchio Continente abbiano contato, e continuino a farlo, sui programmi di rifinanziamento a basso tasso del Ltro decisi dalla Bce di Mario Draghi. Ma se le risorse di Washington non si fermano alle banche, con investimenti diretti in altri tipi di asset, e hanno un orizzonte temporale che permette la discesa dei tassi sui titoli di lungo periodo. Di certo l’investimento in titoli di Stato, reputato fino a qualche tempo fa tra i più sicuri, comincia a rappresentare un vincolo per gli istituti europei, specialmente se in quantità ingenti.
L’esposizione bancaria italiana verso i titoli di Stato
Uno studio recente del Fondo monetario calcola che dal primo trimestre 2006 al terzo trimestre 2012 l’esposizione bancaria italiana verso i nostri titoli di stato è passata da circa il 10% del totale degli asset bancari a quasi il 15%, ossia al livello in cui si trovavano le banche greche nel 2006, prima dell’haircut. Un incremento di quasi il 50%. Peggio dell’Italia stanno solo la Repubblica Ceca, che si avvia verso il 20%, e il Giappone, che ormai sfiora il 25%.
L’effetto dell’intreccio delle politiche espansive nel mondo
Secondo Bernanke la ”situazione europea” è complessa” ed è in via di sviluppo e le politiche monetarie espansive adottate nelle maggiori economie sono ”reciprocamente costruttive” e si rafforzano a vicenda. Bernanke, ignorando le critiche avanzate dai Paesi in via di sviluppo al suo QE, ha sottolineato che gli stimoli monetari delle banche centrali ”offrono ulteriore supporto per gli altri Paesi attraverso mercati finanziari più forti e più esportazioni”. Bernanke paragona le politiche monetarie di oggi con l’addio al ‘gold standard’ durante la Grande Depressione. ”Il fatto che ogni Paese stava facendo la stessa cosa dava reciprocamente forza. C’e’ un’analogia fra questa esperienza egli anni 1930 e quello a cui stiamo assistendo ora”, ha concluso.