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Le vane illusioni di Hollande

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi del gruppo Class Editori.

Soltanto un anno fa François Hollande, il candidato socialista all’Eliseo, incarnava la speranza di riscatto della sinistra dell’eurozona. Lui, eletto presidente della Francia, doveva essere e diventare l’anti Merkel e avviare il nuovo corso della politica economica nel Vecchio continente con meno austerity e più spesa pubblica. I sondaggi danno oggi Hollande al minimo storico tra tutti i presidenti francesi, visto che soltanto il 25% dei transalpini giudica positivamente il suo operato.

Una disfatta totale per un personaggio politico che così tante speranze aveva alimentato tra i progressisti europei. Una débâcle senza appello visto che già in molti iniziano a chiedersi se Hollande riuscirà a terminare il quinquennio presidenziale o se l’avvitarsi della situazione lo costringerà ad eccezionali dimissioni anticipate.

La Francia, e la caduta di Hollande lo certifica appieno, è sempre più la foglia di fico di un’eurozona germanocentrica. Non ha più la tripla A, pesa sempre meno nel definire la strategia e pare condannata a essere sempre più un territorio di complemento di una Germania che crede molto meno rispetto al passato nell’Europa, ma che ha bisogno di non essere schiacciata nei confini bismarckiani che, inevitabilmente, alimenterebbero i timori legati alla riemersione di una Grande Germania. Insomma, a Berlino oggi Parigi serve più come un diversivo, una scusante da poter esporre e comunicare internazionalmente per evitare rischiose critiche, e molto meno come l’alleato privilegiato con il quale realizzare la casa europea.

Negli ultimi anni la Germania ha preso atto che l’Europa non è facilmente riformabile. In Italia, in Francia, in Spagna la globalizzazione e l’euro non riescono a produrre quelle riforme che i Paesi bismarckiani hanno, invece, da tempo fatto per restare competitivi nel mercato internazionale con le loro esportazioni.

Germania, Olanda, Finlandia e Austria sono declinazioni diverse di un medesimo progetto. Hanno preso atto del fatto che l’euro, a livello di corpi sociali e di organizzazione dei mercati è una realtà variegata e non riconducibile facilmente a unità, ed hanno iniziato a guardare oltre l’Europa.

Se a settembre Angela Merkel, come appare sempre più probabile, avrà un terzo mandato dagli elettori tedeschi, allora i nuovi equilibri europei prenderanno forma definitiva. La Germania, con la testa sempre meno in Europa e sempre più nel mondo, puntellerà definitivamente l’euro, che è irreversibile anche per Berlino. Ma inizierà a vivere l’eurozona come un’area “necessitata”. Perfino la Francia scoprirà di essere diventata un satellite di una strategia tedesca che guarda e vive l’Europa con lo stesso distacco con il quale gli appassionati di calcio seguono il campionato paraguyano.

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