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Chi si sta accaparrando le perle industriali italiane

Grazie all’autorizzazione di Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Giorgio Ponziano pubblicato sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi.

L’Italia in saldo. Ne approfittano un po’ tutti. Gli stranieri sono all’arrembaggio. Il Paese è diventato improvvisamente appetibile dopo i tanti lamenti (a cominciare da quelli pronunciati ripetutamente dal premier Mario Monti) sullo scarso fascino del sistema imprenditoriale e quindi sulla mancanza di investimenti? Più semplicemente la crisi sta facendo mettere sul mercato pezzi di economia a quotazioni da realizzo e mentre in patria i denari non ci sono, all’estero i tycoon allungano il collo, poi le mani e acquisiscono.

Il provincialismo economico italiano viene scosso dalla globalizzazione. È un po’ come lo tsunami in politica di Beppe Grillo. Il Paese in crisi è chiamato a rinnovarsi, in politica come in economia, e a ritrovare, voltando pagina, la forza per riprendere la crescita.

Certo, il colpo più eclatante è quello di Li Ka-Shing, che con la sua Hwl vuol fare di Telecom un solo boccone. Ma è solamente la punta dell’iceberg. Per altro un assaggio si era già avuto coi francesi di Lactalis che nell’indifferenza della politica e dell’imprenditoria italiana si comprarono Parmalat a costo zero, anzi poiché in cassa vi era un discreto malloppo sono riusciti ad annettersela perfino guadagnandoci. E ancora coi francesi di Edf, il colosso d’oltr’Alpe dell’energia che fagocitò Edison.

Alla conquista dell’Italia. Se la bandiera cinese sventolerà su Telecom, sarà in buona compagnia. I cinesi hanno, per esempio, acquistato il gioiello della cantieristica tricolore, la Ferretti, coi suoi yatch destinati al mercato medio-alto. Aveva accumulato un debito di 600 milioni, s’è fatto avanti il gruppo cinese Shandong Heavy Industry Group e ha firmato l’acquisto (del pacchetto di maggioranza) a tempo di record, sborsando 374 milioni, in parte per ripianare il deficit.

Un altro colosso cinese, Zoomlion, 5 miliardi di euro di fatturato nel settore macchine per costruzione, ha messo nel paniere la Cifa (betoniere e macchine per l’edilizia) e sta costituendo una joint venture con Riba Comosites, sede in Romagna, azienda del gruppo Bucci, per produrre bracci in carbonio da utilizzare nelle costruzioni. Massimo Bucci anticipa: “Prevediamo un fatturato di 20 milioni”. Mentre Chunxin Zhan, presidente di Zoomlion, annuncia: “Stiamo valutando altri investimenti nel settore meccanico in Italia”.

Ma Zoomlion è attenta a non farsi scottare, com’è successo alla “sorella” Zongyi Group, che ha investito 20 milioni nella Kerself, ribattezzata Aìon, ma rischia di perderli perché il tribunale di Reggio Emilia non ha accettato la proposta di concordato e dichiarato il fallimento dell’azienda, specializzata in pannelli solari ed energia alternativa. L’impresa ha debiti per 275 milioni, era quotata a piazza Affari, dove ha mandato in fumo 170 milioni di capitalizzazione. Lo sbarco cinese nella borsa italiana questa volta è finito male. La rivincita, nella moda. Redstore, gruppo cinese del fashion, è proprietaria di Giada, azienda creata da Rosanna Daolio che appunto l’ha ceduta ai cinesi ma continua a firmare le collezioni: il piano d’attacco è pretenzioso: aperture in Italia nel 2013, a New York nel 2015, a Parigi e Londra nel 2016, a Tokyo nel 2017. E così un tassello della moda italiana nel mondo parlerà cinese, mentre altri tasselli (Gucci, Bottega Veneta, Sergio Rossi, Brioni) sono saldamente nelle mani del francese François-Henri Pinout, altri ancora (Bulgari, Emilio Pucci, Fendi) appartengono al suo connazionale Bernard Arnault, e a dimostrazione che nel fashion l’italianità proprietaria si è assopita ecco anche il coreano Park Song-soo, fondatore di E-land, che ha messo in portafoglio Belfe, Lario, Mandarina Duck, Coccinelle.

Ma in Francia è andata anche Richard Ginori con le sue porcellane, acquisita da Pinout, e andrà pure Pomellato coi suoi gioielli (la stanno trattando sia Pinout che Arnault).

È come se fossero tornati gli spalloni: una volta solcavano di nascosto le frontiere coi sacchi pieni di sigarette esentasse, adesso, cravatta regimental e gergo da merchant bank, portano qui e là i pezzi pregiati della nostra industria. Anche un settore in cui l’Italia eccelleva e di cui aveva quasi il monopolio, quello delle dream car, ha alzato bandiera bianca e alla Lamborghini batte il cuore dell’Audi-Volkswagen, che s’è pure comprata la Ducati, unico produttore italiano di moto di lusso, e la Giugiaro Design. Poi c’è Bavaria che ha messo nel carrello dello shopping gli yatch Gran Soleil. Per contro, il fondo sovrano cinese China Investment Corporation sta rilevando una quota tra il 4 e il 10% della Mercedes.

Ma i tedeschi hanno messo le mani anche sulla Diavia (acquistata dalla Webasto), leader nei condizionatori d’auto, e hanno presentato un’offerta (il gruppo Siemens) per impossessarsi di Ansaldo Energia.

L’articolo completo si può leggere qui.



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