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Attori, protagonisti e parolai sui debiti commerciali dello Stato

Il tiro al governo Monti è uno sport molto popolare. E i motivi per criticare l’esecutivo non mancano, se ci si concentra ad esempio sulla vicenda del pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione alle aziende.

Un dossier studiato, vagliato e annunciato come pronto da settimane, forse da mesi, anzi da anni: quindi il governo Monti non è il principio e la fine di ogni nefandezza.

A incidere c’è, anche, il groviglio burocratico che fa spesso impantanare (come ha stimmatizzato Dario Di Vico oggi sul Corriere della Sera) i progetti ragionevoli, anzi doverosi: lo Stato, le regioni, gli enti locali e gli enti pubblici devono saldare i debiti commerciali con le aziende private. Per questo diatribe tra ministri, più o meno pubbliche, e più o meno verosimili, iniziano ad essere stucchevoli. Gli sforzi potrebbero essere concentrati a incalzare gli enti a certificare i crediti/debiti.

Però le giustificate lagnanze delle imprese, rappresentate ad esempio da confederazioni come Confindustria o Rete Imprese Italia, sono a volte contraddittorie. Da un lato vertici e base delle associazioni invocano legittimamente un provvedimento urgente di sblocco, ma quando poi si abbozzano soluzioni tecniche (come quelle svelate ieri dal quotidiano MF/Milano Finanza) ci sono federazioni delle stesse confederazioni che criticano, altrettanto legittimamente, quelle ipotesi perché hanno effetti deleteri. Oltre che impatti non irrilevanti sulla finanza pubblica.

Ma è anche un dato politico quello che sconcerta, come ha notato su Twitter l’economista ed ex direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, ora deputato del Pd: “Dubito che un governo politico farebbe meglio di governo tecnico su debiti PA. Ma non sarebbe sbeffeggiato da tutti proprio da tutti. Fa impressione”.

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