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Il Governo Letta alla ricerca del tempo perduto

Meglio tardi che mai

Ha poche ore il governo Letta ma deve già guardare avanti appesantito da un gravoso bagaglio sulle spalle. Sembra essere il governo giusto, ma forse non al momento giusto. È arrivato in ritardo di troppi anni, e le ferite dell’Italia si sono approfondite. Certamente meglio tardi che mai, ora bisogna risalire una china che è stata discesa tutta: politica ed economia hanno raggiunto abissi negativi (per scaramanzia meglio non dire mai che si è toccato il fondo) dai quali adesso devono risalire.

La forza della disperazione

Forse questa è la forza del Governo Letta: talmente feroce è stato lo scontro tra fazioni politiche e talmente debilitante la crisi economica che forse chi è rimasto in campo non ha più le forze per lanciarsi in un nuovi scontri devastanti, ma è “costretto” a darsi da fare per risollevare il Paese. Questo è il punto di forza del governo: grazie alla disperazione si è recuperata quella ragione che era stata smarrita nei fumi della furia bipolare e antipolitica. Perché bisogna anche riconoscere alcune verità. Letta nel suo discorso ha fatto riferimento alla necessità che l’Italia torni a confrontarsi con la verità. E una di queste scomode verità è che la grave situazione in cui ci troviamo è senz’altro colpa di chi non si è assunto prima le responsabilità necessarie. Gli italiani tutti, non nascondiamolo, tentati dalla difesa dei privilegi e dallo scaricare rabbia e frustrazione sulla politica inseguendo pretese insostenibili. E diventando parte del problema invece che della soluzione. Con una maggiore consapevolezza da parte degli italiani (dalla stampa ai normali cittadini, dalle componenti sociali alle classi dirigenti) le forze politiche sarebbero state costrette a dare del loro meglio, e invece è stato chiesto loro di dare del loro peggio. E ci sono riuscite benissimo.

Le voci inascoltate

Così questo governo è arrivato tardi, è arrivato in condizioni di debolezza, ed è arrivato azzoppato rispetto a quei protagonisti che prima e più lucidamente avevano individuato la strada per salvare il Paese attraverso la riconciliazione, le larghe intese, le riforme. Questi sono temi che – forse qualcuno lo ha dimenticato – l’UDC sollevava già dal 2006, col governo Prodi così zoppo al Senato. Non ci fu nulla da fare: il centro-sinistra si riteneva autosufficiente, e il centro-destra era tanto ostinatamente contrapposto da non sostenere persino le missioni di pace. Ed è stata l’UDC ad essere isolata come corpo estraneo al bipolarismo selvaggio. Sappiamo come è andata a finire. Poi nel 2008 la vittoria del centro-destra con una maggioranza record in Parlamento. Anche qui, è arrivata una crisi economica senza eguali, e pur di non riconoscere che il mondo stava cambiando e che c’era bisogno di fare fronte comune a difesa dell’Italia, ci si è chiusi a riccio fino ad esplodere, si è perpetuata una maggioranza oltre ogni limite e si è rimasti immobili e inattivi, sordi agli appelli alla unità nazionale che anche allora venivano dall’UDC. Poi nel 2011 si è arrivati alla deflagrazione della crisi, e di fronte alla necessità si è avuto un sussulto con la costituzione del governo Monti, che però non si volle politico perché ancora troppo forti erano le faziosità, tali da fare premio sull’interesse nazionale. Qualche buon mese per salvare il salvabile, poi PD e PDL hanno ricominciato a guardare i sondaggi invece che l’interesse nazionale, lasciando di nuovo soli nel campo della responsabilità l’UDC e Monti.

Elezioni irrazionali

E siamo precipitati di nuovo nella guerra bipolare. Aggravata e incattivita non solo dalla crisi ma anche dall’irrompere dell’antipolitica grillina, le cui istanze sono comprensibili ma le soluzioni quanto meno nebulose. Gli italiani hanno fatto le loro scelte, e ne sono risultate punite le posizioni responsabili, a tutto vantaggio dell’ingovernabilità. Ora i fatti dimostrano che quelle voci erano nel giusto, ma ormai esse sono per ora un po’ più deboli. II primi mesi della legislatura sono stati quel che abbiamo appena visto, con tentativi di proseguire e irrigidire la contrapposizione: per due mesi sono caduti nel vuoto gli appelli alla ragione di UDC e Scelta Civica per un governo di riconciliazione nazionale. Fino ad arrivare al patatrac dell’elezione del presidente della Repubblica, con la linea oscillante e autolesionista del PD. Solo a quel punto si è capito che bisognava affidarsi a uno dei pochi saggi con le idee chiare e il senso dello Stato: Giorgio Napolitano. Che con altre poche voci isolate da tempo predicava la necessità di mandare in pensione i falchi e di rimboccarsi le maniche per lavorare insieme nell’interesse dell’Italia. Almeno finché c’è acqua da buttare fuori bordo perché la barca non affondi. E ora siamo arrivati al governo Letta. Esso e gli italiani farebbero bene a ricordare la storia di come siamo arrivati fino a qua, per poter recuperare il tempo perduto.


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