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Il PD, le sue ceneri e il bisogno di cambiare

 

 

Il più grande partito del Centro Sinistra, radicato in modo capillare sul territorio, con milioni di sostenitori (in 10 milioni lo hanno scelto alle scorse elezioni) e tantissimi iscritti, è imploso su se stesso. Come sempre, laddove non riesce la destra, riesca la sinistra da sé a distruggersi.

Condivido in pieno, per tanto, il commento di Giuseppe Civati sul suo blog “quelli di sinistra che odiano la sinistra”: solo da dentro avrebbero potuto causare questo pasticcio. 101 dissidenti che prima affossano il padre del partito e del movimento, Romano Prodi, disturbato durante la sua missione internazionale in Africa, poi s’impuntano contro una candidatura di alto profilo, soprattutto per la sinistra, come quella di Stefano Rodotà.

Ripeto forse cose già dette, ma il problema di questo Partito Democratico non è la pluralità d’idee, bensì la incapacità da parte della leadership e del gruppo dirigente di fare una “sintesi”. Questa benedetta parola “sintesi” è fondamentale: un leader è colui in cui ci si riconosce e che “guida”, ossia è un “riferimento”. Se non è lui in grado di sintetizzare un’idea che ne contenga tante altre, chi dovrebbe farlo? Ecco dunque, il fallimento della leadership di questo PD. Il senso di responsabilità ha portato Bersani e la Bindi e poi tutto il gruppo dirigente a dimettersi (in vero non del tutto, potrebbero anche dimettersi e andare a casa e lasciare che arrivino altri), ed ora è indispensabile un cambio di marcia totale e se questo significa anche dividersi da certe correnti interne che sono piuttosto dei “potentati” come ha scritto Giuliano Cazzola (con cui non sono in accordo su tutto il resto), tanto meglio.

La ri-elezione di Giorgio Napolitano è una soluzione temporanea. Ad 87 anni è stato indecente da parte delle forze politiche implorare che rimanesse, ma il suo alto senso dello Stato lo ha forse convinto a mettere una pezza laddove la politica era incapace e inadeguata. Non si può chiedere ad un uomo di 87 anni di stare altri sette anni a subire i contraccolpi di una classe politica precaria e incapace, sempre di più. Sono certo, infatti, che Napolitano, che è un grande Presidente, forse quello che più di ogni altro ha dato fondo alle sue prerogative, sistemerà le cose come meglio può. Darà un governo al Paese, predisporrà degli obiettivi immediati (tra cui la legge elettorale!) da raggiungere e si congederà, molto prima della scadenza naturale di questo secondo mandato. Diamo atto a Napolitano di avere ancora una volta salvato la scialuppa (salvo poi leggere lamentele a destra più che a sinistra contro il governo che sceglierà, in questo PDL e Lega sono stati i migliori trasformisti).

Il Partito Democratico ha una peculiarità, al di là dei profondi difetti: è un partito non personalista e sopravvive ai suoi leader. La leadership in un partito di questo tipo è fondamentale, non tanto la carismatica, che è comunque importante, ma quella “burocratica”, la leadership organizzativa: la capacità di coniugare qualità personali di un leader (carisma) e capacità organizzative (gestione di una organizzazione e delle persone). Sembra quasi un profilo per un top manager aziendale, ma non è così. In più ad un top manager un leader politico ha degli ideali e un sentimento di base che lo accomuna agli altri membri e ai propri elettori. Le primarie avevano decretato la vittoria di Bersani e la sconfitta di Renzi, non  era una valutazione sulle persone, o non solo, quanto piuttosto sullo “spirito” e sulle “idee” più o meno convincenti per un elettorato che sta a sinistra.

Cosa occorre adesso? Ah, davvero difficile a dirsi. Sicuramente serve una nuova assemblea per discutere del PD, della sua organizzazione e di dove vuole andare, poi occorre una nuova leadership e come noto, il mio sostegno va, ancora una volta a Giuseppe Civati  >>> qui <<<

Il congresso dovrebbe dare a Civati il mandato di Segretario e procedere ad una profonda rifondazione del partito. Le primarie, poi, diranno se ha o meno fatto un buon lavoro agli occhi degli elettori. Occorre anche una chiarificazione: chi sta dentro e chi sta fuori. Correnti, correntine, potentati, organizzazioni nelle organizzazioni: stop!

La base della discussione sono le idee e i programmi, laddove la maggioranza decide la minoranza o accetta e decide di partecipare per migliorare gli aspetti che reputa carenti, o se sente l’intollerabilità del processo democratico, che si basa proprio sulla scelta a maggioranza (come spiegato bene da Bobbio in questo filmato >>>qui<<<) può decidere fin da subito di costituirsi in qualcosa di alternativo o complementare, al di fuori di questo nuovo Partito Democratico.

Vorrei dilungarmi ancora un po’  sulla questione  “democrazia“.

Le manifestazioni di piazza sono espressione di un malcontento e oggi con internet si può avere una visione ancora più precisa degli umori della gente, ma spieghiamo anche che una piazza (50-100mila persone piuttosto che 500mila o 1 milione) è importante e un uomo politico dovrebbe confrontarsi con essa, ma non rappresenta “gli italiani” né il “popolo italiano” che conta ben 60milioni di persone. Nemmeno twitter è il “popolo italiano” e mi sembra anche banale doverlo ricordare, ma i giornali e le tv riescono a trasformare un “puff” in un’esplosione atomica! Rimaniamo attaccati alla realtà.

Nel nostro sistema politico e sociale la democrazia è rappresentativa, ossia il popolo elettore, che non è il popolo italiano ma solo una parte – tanto che alle ultime elezioni i votanti su 60milioni di abitanti erano poco più di 45 milioni e che hanno votato solo in poco più di 35milioni (cfr. dati viminale), delega il potere decisionale ad alcuni rappresentanti. Si può non condividere il metodo, ma la Costituzione prevede questo e quindi sono gli eletti a rappresentare il popolo (adeguatamente o meno) e quando operano nel luogo fisico della democrazia, ossia il Parlamento, parlano in nome del popolo.

Se il popolo è in disaccordo protesta e alle prossime elezioni vota altri partiti o non vota proprio. Le forze in parlamento rappresentano ciascuna uno spaccato della società, ed è sempre improprio parlare “a nome di tutti” gli italiani, quando a manifestare ci sono solo alcuni e pochi. Le generalizzazioni si fanno con le dovute cautele.

Inoltre, nel caso di Rodotà, eccellente personalità umana e politica, appartenente alla sinistra e non a Beppe Grillo e al M5S che non lo hanno certo creato loro, a manifestare era uno spaccato della società. Può piacere o meno, ma gli altri 10-15milioni di elettori che hanno guardato a destra o al centro-destra, non la pensano così.

Utilizzare concetti e parole quali “colpo di stato” o “golpe” è sbagliato. perché il nostro sistema democratico funziona così, e con la scelta di Napolitano la maggioranza ha scelto: questa è la democrazia. Quando verrà cambiata la Costituzione, magari in senso più presidenzialista, allora potremmo dibattere su altre cose, fino ad allora questa è la Costituzione e questo il nostro sistema democratico.

 

 

 


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