Torna sul Colle, dunque, Napolitano, il “sudista modernizzatore”.
Una vita lunga, difficile, densa di battaglie, di vittorie, di sconfitte, di amarezze e anche di trionfi. L’ultimo lo ha vissuto, ascoltando alla tv, nel caldo pomeriggio romano, Laura Boldrini, coetanea dei suoi 2 figli, leggere le 738 schede dei Grandi Elettori con il suo cognome.
Deputato della sua Campania, dal 1953, è stato ritenuto l’unico medico, esperto e in grado di curare la grave malattia del partito, il PD, che lo elesse 7 anni fa e che, in pochi giorni, è riuscito nell'”impresa” di spaccarsi, divorando i suoi fondatori e travolgendo il suo gruppo dirigente. Respingendo la tattica “sfascista” di Grillo, si è preferita la strada più conosciuta, rivolgendosi al “Presidente di tutti”, come lo ha definito Renzi. E stavolta c’è stato il sospirato o.k. del gentiluono partenopeo-88 anni il 29 giugno, ritenuto da ammiratori e avversari, da Berlusconi e Bersani, da Monti e Casini, ma non dal “M5S” e Vendola, come l’unico statista, stimato anche all’estero, in grado di tentare di arrestare la destabilizzazione degli equilibri, politici e istituzionali, logorati e con le fondamenta traballanti- ha accettato
Sulle aspre polemiche di venerdi’, sui tradimenti nel partito dello sconfitto, Bersani, sugli slogan incendiari dei grillini, ha prevalso una larga intesa tra gli avversari. Questo periodo è analogo a quello, che portò Moro e Berlinguer a siglare il “compromesso storico”, alla fine degli anni 70, quando non erano nati molti deputati del M5S che, con avventatezza, hanno accusato il Parlamento di “golpe”, sconfessati, in ritardo, da Rodotà, gelido con il suo “nemico” storico ?
Quella fu un’epoca altrettanto drammatica, ma molto diversa da oggi. Allora Napolitano era all’opposizione di “Re Enrico” e scelse un ruolo defilato, scrivendo articoli e un libro, “Intervista sul PCI”, tradotto in 10 Paesi. E, nel 1979, nel volume “In mezzo al guado”, egli raccontò il periodo della “solidarietà democratica”, durante il quale rappresentò il PCI, nei rapporti con il governo Andreotti, sui temi dell’economia e del sindacato.
Nel PCI, Napolitano guidò, con Macaluso e Chiaromonte, la corrente dei “miglioristi”, che vennero accusati dai berlingueriani di subire la strategia del “grande nemico”, Bettino Craxi. E il gruppo dei riformisti venne emarginato, anche durante i primi, drammatici anni 90 quando, nel PCI e poi nel PDS, si affermò una impostazione giustizialista. Da Presidente della Camera, mentre i leghisti agitavano i cappi, il leader partenopeo tentò di arginare le tendenze più estremiste e “manettare”. A Napolitano, prima di suicidarsi (“quando la parola è flebile, non resta che il gesto !”) si rivolse, con una straziante lettera, un giovane deputato craxiano di Brescia, Sergio Moroni, che gli chiese di adoperarsi per “evitare processi sommari, in piazza o nelle TV, che trasformano le informazioni di garanzia in una preventiva sentenza di condanna”.
Non tutte le scelte del Presidente si possono condividere, dall’approvazione dell’invasione sovietica di Budapest, alla sua astensione, come capogruppo del PCI, alla Camera, alla fine del 1978, sul sistema monetario europeo. Molti, dentro e fuori il partito, gli hanno rimproverato una certa tendenza alla diplomazia e al silenzio, nelle fasi più tempestose.
Ma intervenne, con vigore, per difendere il suo consigliere giuridico, Loris D’Ambrosio, morto nel luglio 2012, per un infarto, dopo violente polemiche per le telefonate con Nicola Mancino, che si lamentava dell’inchiesta della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Il Capo dello Stato parlò di “atroce rammarico per una campagna, violenta e irresponsabile, di insinuazioni ingiuriose, senz alcun rispetto per la sua storia e sensibilità di magistrato intemerato”.
Nell’ultimo periodo, è stato l’abile protagonista, dopo la crisi del governo Berlusconi e lo tsunami finanziario, di una sorta di miracolo, politico e istituzionale, riuscendo a porsi al centro della scena, con equilibrio e con un interventismo inedito per gli inquilini del Quirinale. Dove, ieri, è tornato, confortato dal lungo applauso dei Grandi Elettori, che gli hanno riconosciuto imparzialità, prestigio e autorevolezza personali, persino superiori rispetto a quelle derivate dalla carica, che ricopre.
Pietro Mancini