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Dmitri Šostakovi, un comunista nella patria del socialismo realizzato

Perché tornare a interessarsi di Dmitri Šostakovi di cui abbiamo analizzato le peripezie il 4 gennaio in occasione della presentazione a Roma della sua opera (dadaista e futurista) ‘Il Naso’? Le ragioni sono almeno tre. In primo luogo, è uscito in questi giorni, per i tipi di Zecchini Editore, il libro Šostakovi Continuità della Musica, Responsabilità nella Tirannide di Piero Rattalino (pp 280, € 25), un libro che alcuni recensori hanno inteso come un saggio ‘revisionista’.

In secondo luogo, a Zurigo ha avuto un grande successo una nuova produzione de ‘“La lady Macbeth del distretto di Mensk”, il lavoro che gli creò maggiori difficoltà con l’establishment sovietico; inoltre alla Scala è piaciuto, più di quanto ci si attendesse, Cuore di cane di Alexander Raskatov, lavoro contemporaneo di autore vivente che ha numerosi punti di contatto con Il Naso. In terzo luogo, l’imminente esecuzione (19-20 maggio) da parte dell’Orchestra Sinfonica di Roma della Fondazione Roma Arte e Musei, della mastodontica Settima Sinfonia sottotitolata Leningrado, scritta ed eseguita durante l’assedio di Leningrado.

Di questi elementi, il più importante è il primo, anche se ha indubbiamente nessi con il terzo. Gran parte dei lavori sulla vita tormentata di Šostakovi, apprezzato nel resto del mondo ma considerato con diffidenza in Patria (nonostante lo stesso contributo personale che diede durante la seconda guerra mondiale) a causa della bocciatura da parte di Stalin in persona de “La lady Macbeth del distretto di Mensk” (tramite un durissimo editoriale della Pravda) si basano sul libro Testimonianza. Le Memorie di Dmitri Šostakovi pubblicate da Solomon Volkov nel 1979 (ossia a quattro anni circa dalla morte del compositore), memorie scritte in seguito a lunghe interviste. Anche se Volkov non hai esibito i nastri in cui le interviste sarebbero state registrate le conversazioni, nessuno degli stretti familiari di Šostakovi ne ha mai smentito i contenuti.

E’ difficile dire quanto nel libro di Volkov ci sia di forzato. Il ritratto che emerge è quello di un fiero antistalinista, costretto dalle circostanze della vita e dalla ferocia del tiranno (che aveva mandato di fronte al plotone di esecuzione alcuni dei suoi migliori amici) a vivere una doppia esistenza dal 1936 (anno in cui venne bandita “La lady Macbeth del distretto di Mensk”): conformista in apparenza (e in tal modo anche con importanti riconoscimenti ed incarichi ufficiali) ma anticomunista in fondo al cuore e con il timore di essere, in qualsiasi momento, scoperto.

Il volume di Volkov ha avuto diffusione limitata in Italia. Il film tratto da Tony Palmer nel 1988 dl libro di Volkov, con Ben Kingsley, ha avuto numerosi premi internazionali ma in Italia si è potuto vedere soltanto sul canale ‘classica’ di Sky in lingua originale con sottotitoli; non ha trovato un distributore che lo circolasse nelle sale anche in quanto politici di rango avrebbero, all’epoca, fatto sapere che non gradivano la diffusione di un film che metteva in cattiva luce l’Unione Sovietica dalla rivoluzione al 1975.

Rattalino è un musicista ed un musicologo di rango, non uno storico. Mostra di non gradire il lavoro di Volkov ma la sua è una biografia musicale (non storico-politica) del compositore. E’ un lavoro attento, rivolto non solo al pubblico del mondo della musica; è scritto con eleganza e pone le opere di Šostakovi nel contesto dell’evoluzione storico-politica di settanta anni del Novecento. Riconosce come, dopo il bando di ‘La lady Macbeth del distretto di Mensk’, il giovane che era uno dei più corteggiati dalle belle donne dell’intelighentsia di Leningrado (il nome dato a San Pietroburgo dopo la rivoluzione sovietica), anche a ragione della sua arguzia (oltre che della sua avvenenza), era diventato timido e timoroso (tanto da mettere anche la sua firma ad una lettera di censura al suo amico Sacharov) ma trova come elemento di fondo della vita del compositore “la continuità di musica legata alla tradizione e l’assunzione di responsabilità personali, pur nei lacci della tirannide”. Essenzialmente, si differenzia solo in parte da un’analisi dalla personalità di Šostakovi quale tratteggiata da Volkov.

Occorre, però chiedersi, se, dopo avere composto due opere indubbiamente rivoluzionarie sotto l’aspetto della sintassi musicale, gran parte della produzione di Šostakovi (soprattutto le sinfonie, meno la cameristica e le musiche da film) siano rimaste così tradizionali (e lontane da altri fermenti del Novecento) proprio in quanto sentitosi nel mirino di un regime che non accettava l’innovazione. Il libro di Rattalino non tratta un aspetto importante: il jazz di Šostakovi – un segno, al tempo stesso, di sfida al regime e d’innovazione nel panorama musicale sovietico dell’epoca. Merita di essere letto non solo da chi si interessa di musica ma da tutti coloro che vogliono approfondire il ruolo (e le difficoltà) degli intellettuali nell’Unione Sovietica.


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