Hanno vinto i più forti. Nessuna rimonta né tantomeno impresa da inserire negli annali del calcio, la Juventus abbandona il palcoscenico della Champions League in virtù di un grande Bayern, superiore in tutto e per tutto. Impietosi i numeri della doppia sfida, che hanno visto i tedeschi segnare quattro gol (equamente divisi tra andata e ritorno) mantenendo però inviolata la propria porta. Un’eliminazione sacrosanta, che quasi non lascia spazio alle recriminazioni. Quasi appunto, perché vedere la capolista del campionato (nonché detentrice del titolo) così impotente di fronte all’equivalente tedesca fa riflettere. A scatenare il dibattito poi ci ha pensato Antonio Conte, che dopo la partita ha rilasciato dichiarazioni sibilline: “Mi viene da ridere quando sento che con due o tre acquisti si possa vincere la Champions. Il calcio italiano è fermo e questo deve essere chiaro a tutti. All’estero fanno investimenti e progetti, da noi si parla di arbitri e della soubrette con la quale esce un giocatore. Quando vinsi la Champions con Lippi, la squadra di riferimento era l’Ajax che lavorava con i giovani. Adesso l’Ajax non esiste: ci sono le superpotenze come Real, Bayern, Barcellona, Psg, squadre che hanno un fatturato di oltre 400 milioni. Io credo che tutti insieme dobbiamo cambiare il calcio italiano: e quando dico tutti penso a noi, alle società, ai tifosi, ai media, alle istituzioni, altrimenti non si va da nessuna parte”. Più che una disamina, un grido d’allarme. Ma davvero siamo destinati a non vincere più nulla in Europa? La logica dice di sì, perché i dati citati da Conte non sono supposizioni, ma certezze. Lo è il fatturato del Bayern Monaco, che gli consente di acquistare un buon centrocampista come Javi Martinez (non certo un fuoriclasse) alla “modica” cifra di 40 milioni. Lo è il ranking Uefa, che vede il nostro calcio stabilmente retrocesso dietro Premier League, Liga e Bundesliga e col fiato sul collo della Ligue 1 francese. Lo è la mancanza di stadi di proprietà, e anche la Juve, l’unica ad averlo costruito, lo ha fatto in ritardo rispetto ai concorrenti stranieri, che ora, dopo aver ammortizzato l’investimento, ne godono i frutti.
In questo orizzonte cupo c’è però un raggio di sole. Il pallone non è scienza o matematica: nulla può essere dato per certo. La programmazione, la competenza, la passione e l’imprevedibilità possono fare la differenza. In un momento così difficile della nostra economia (dunque anche del nostro calcio) serve quel colpo di genio in grado di sovvertire le gerarchie. Troviamolo e forse quella di Conte si rivelerà solo una profezia inesatta.
La Bundesliga batte la Serie A, per risalire serve il colpo di genio
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