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La Germania cerca spazio vitale in Cina

Il sogno, o almeno la speranza, della Germania è scritto nelle ultime cifre diffuse dall’ente nazionale tedesco di statistica sull’export dell’ultimo trimestre 2012 e sul totale dell’andamento delle seportazioni nel 2012: sostituire gradualmente la quota di export finora destinata ai paesi dell’eurozona con quella ai paesi extra Ue, in particolare alla Cina.

Questa affannosa ricerca di uno spazio vitale a Oriente è strategica per il primo esportatore europeo, vista la quota sempre minore di risorse che i paesi in crisi del Sud Europa possono dedicare alle importazioni. E fa leva sui redditi degli abitanti  nei paesi emergenti – Cina in testa – che sono previsti in crescita in futuro.

Per farla semplice: 1,3 miliardi di cinesi più ricchi, possono gradualmente compensare, in tutto o in gran parte, 400 milioni di europei diventati più poveri.

Cinico, ma razionale.

Anche perché pure se i redditi in Germania stanno iniziando a crescere, dopo la deflazione indotta dalle riforme sul mercato del lavoro nei primi anni del 2000, e la produttività a decrescere, rimane il fatto che l’economia tedesca, sin dal dopoguerra, è fortemente orientata all’export, e non sembra possibile che i politici tedeschi accettino di cambiare modello di sviluppo nel breve periodo. Anziché provare a rilanciare i consumi interni, e quindi “importare” un po’ di inflazione dai disgraziati cugini del Sud, sarà sempre più semplice esportare.

Guardiamo i dati. Nel IV trimestre 2012 le esportazioni tedesche sono aumentate dell’1,3%, a 271,4 miliardi, rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Le esportazioni verso L’Ue a 27, però, sono in calo dello 0,8% a 153,5 miliardi di euro. Al contrario, le esportazioni verso i paesi terzi sono cresciute del 4,2% a 118,0 miliardi di euro.

Il dato si fa interessante se scomponiamo l’Ue fra i paesi che aderiscono e quelli che non aderiscono all’euro. Nei confronti dei non aderenti l’export è cresciuto (+1,7% a 52,4 miliardi di euro). Fra quelli che usano l’euro, al contrario è diminuito del 2,1% a poco più di 101 miliardi. Quindi il calo maggiore dell’export verso l’Ue si registra proprio nei paesi che usano l’euro. Quelli dell’austerità.

Se poi andiamo a vedere i dati per l’intero 2012, notiamo che l’istituto di statistica titola il suo report mettendo l’accento proprio sull’aumento dell’export verso la Cina. Tanto per far capire qual è lo spazio vitale prossimo venturo.

Notiamo che nel 2012, le esportazioni tedesche verso la Cina sono cresciute del 2,7% a 66,6 miliardi di euro rispetto al 2011, mentre le importazioni, sempre dalla Cina sono calate del 2,8% a 77,3 miliardi di euro. Quindi il deficit della bilancia commerciale del commercio estero tedesco con la Cina è diminuito del 27,1% a 10,7 miliardi di euro rispetto al 2011, quando era di 14,7 miliardi di euro.

Complessivamente il bilancio tedesco commerciale nel 2012 ha registrato globalmente un surplus di 188,3 miliardi, in crescita del 18,6% sul 2011.

Il quadro è chiaro. E anche il significato “politico” di questi numeri: l’incremento dell’export verso la Cina (+2,7%) dovrebbe gradualmente compensare il calo dell’export nell’eurozona (-2,1% nel IV trimestre 2012).

Riusciranno i nostri eroi?

E’ presto per dirlo. Intanto rileviamo un altro dato, stavolta tratto da un recente studio del Fmi che analizza lo stato di salute dell’industria manufatturiera in diversi paesi, dal 1980 al 2010. Trent’anni fa al top della classifica stavano gli Stati Uniti, seguiti da Germania, Giappone, Uk, Francia e Italia. La Cina veniva dopo di noi, al settimo posto.

Nel 2010 il mondo era (quasi) rovesciato. Gli Usa mantengono il primo posto, ma al secondo ora c’è la Cina. Il Giappone mantiene il terzo posto, mentre la Germania è scivolata al quarto e l’Italia è salita al quinto. Dopo di noi ci sono il Brasile e la Corea del Sud. Seguono, in ottava e nona posizione, la Francia e la Gran Bretagna.

Che vuole dire? Semplice: che la campagna tedesca per la conquista della Cina dovrà vedersela con un’economia molto più forte proprio sul campo dove si dovrebbe combattere la guerra per le esportazioni. La Germania, insomma, rischia di fare il passo più lungo della gamba.

Con un corollario: l’Italia, pur con tutte le sue contraddizioni, è l’unico paese europeo che ha guadagnato terreno nel settore manifatturiero (alla faccia di chi teme la nostra deindustrializzazione).

Forse siamo più forti di quello che pensiamo.

Purtroppo, pensiamo male.

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