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Il ruolo della “quant-intelligence” per analizzare la violenza umana

Può sembrare strumentale che i governi, successivamente ad ogni attacco terroristico, rinforzino le misure di sicurezza, aumentino la presenza delle forze di polizia e obblighino sempre più persone a denudarsi negli aeroporti. Sicuramente, queste azioni non restituiranno le vittime ma aiuteranno semplicemente ad aumentare la paranoia.

Questo ragionamento sarebbe logico solo se nella frequenza degli attacchi terroristici vi fosse casualità. Se un attacco terroristico avesse le stesse probabilità che caratterizzano il lancio di una moneta non avrebbe senso assicurarsi (con simili comportamenti) contro esiti futuri di pianificazioni terroristiche. Fortunatamente non è così. Esiste una logica statistica nell’incrementare la sicurezza dopo un attacco molto pubblicizzato, allentando progressivamente le misure di deterrenza con l’approssimarsi del periodo di nuova calma.

Secondo gli studiosi coinvolti in tutto il mondo in tali ricerche, ogni attacco terroristico è regolato da una “legge di potenza” (caratterizzate da distribuzioni statistiche definite da una curva decrescente con continuità), con una piccola percentuale di grandi incidenti che contano una quota “non standard” di morti.
Relativamente a questo argomento, nel suo commento di ieri sul Financial Times, Gillian Tett ha fornito un’interessante riflessione sulla c.d. “fisica del terrorismo” (“The physics of terror”), che altro non è che un’applicazione di Quant-Intelligence (nuova branca dell’Intelligence, oggetto di studi e ricerche da parte degli analisti dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “Nicolò Machiavelli”).
Gillian Tett fa riferimento all’attività di due ricercatori, Aaron Clauset (scienziato computazionale, docente presso l’Università del Colorado e ricercatore del Santa Fe Institute) e Ryan Woodard (ricercatore dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo), i quali, nel loro recente studio (“Estimating the historical and future probabilities of large terrorist events”) hanno analizzato gli ultimi 200 anni di conflitti militari giungendo alla conclusione che, se si osserva il modello globale della guerra e del terrorismo, la violenza umana si è spostata nel tempo con cicli sorprendentemente stabili.

Questa stabilità consentirebbe, addirittura, secondo Clauset, di ipotizzare forti parallelismi (statistici) tra conflitti umano e terremoti. Per questo motivo, molti studiosi starebbero impiegando, nell’analisi della violenza nei comportamenti sociali, i modelli sviluppati dalla sismologia e dalla geofisica. L’obiettivo di questa “fisica del terrore” non è la previsione esatta di dove e quando potrà verificarsi un attacco terroristico, bensì di determinare qual’è la probabilità di avere attentati e guerre sulla base del loro “ritardo statistico”.

Secondo Clauset, “la frequenza e la gravità delle guerre è stata abbastanza costante per 200 anni nonostante i massicci cambiamenti nella geopolitica, la tecnologia e la popolazione”. In media, il mondo ha subito una nuova guerra internazionale ogni due anni ed una nuova guerra civile ogni circa 1,5 anni. Mentre lo standard statistico degli attacchi terroristici corrisponde al verificarsi in gruppi (cluster), un paio di “mega” attacchi (con un numero molto elevato di morti) vengono definiti da Clauset e Woodard come “eventi rari” (tipo l’11 settembre) e fuori distribuzione.

L’impostazione di Clauset è oggettiva, basata su fatti e dati puntuali, analizzati ricercando un pattern. Diversa, invece, è la modalità “repressiva” di studio dei conflitti in termini di fattori sociali e storici che ricerca le motivazioni dei terroristi o le loro tattiche, come se ogni attentato fosse un caso a sé stante. Ma, mentre gli esperti di militari e di ordine pubblico mostrano scetticismo verso un’analisi scientifica, la ricerca di Clauset e Woodard riscontra serio interesse da parte di imprese, banche e assicurazioni, desiderosi di anticipare i rischi connessi ai futuri attacchi terroristici.

I numeri di Clauset mettono il recente passato in prospettiva (in termini storici, l’attacco di Boston, per esempio, è un episodio marginale), per far riflettere sul futuro. Clauset calcola che la probabilità di vedere un’altra guerra in questo secolo sulla stessa scala della seconda guerra mondiale (con 60 milioni di morti) sia del 41%. Nel frattempo, la probabilità di un evento della dimensione dell’11 settembre in questo decennio è compresa tra il 19% e il 46%.
Se il decisore prendesse in considerazione l’esistenza di questi cicli, si potrebbe iniziare a riflettere su cosa spinge esattamente i focolai di guerra o terrorismo. La domanda è: possiamo sempre attribuire la colpa della violenza alle personalità idiosincratiche (il leader nordcoreano, Al Qaeda o chiunque altro)? Oppure c’è qualcosa nella condizione umana (anche mandante di queste azioni di violenza, e non solo esecutrice), nella nostra interazione con il contesto sociale-politico-economico, che condanna l’essere umano a convivere con il terrorismo e con la guerra, con una simile regolarità?

Cunctator è senior researcher dell’Istituto italiano di studi strategici “Niccolò Machiavelli”


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