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La tirannia del change ha bisogno di qualche ruga

Il risultato elettorale italiano non è stato tanto diverso da quello britannico del 2010. Certamente sotto il profilo aritmetico. I conservatori risultarono il primo partito ma i laburisti del primo ministro uscente Gordon Brown e i liberal democratici guidati da Nick Clegg ottennero rispettivamente il 29% e 23% dei voti. Anche l’elezioni inglesi furono caratterizzate da quella che Il Foglio di Giuliano Ferrara titolò, all’indomani delle elezioni, “la tirannia del change”. David Cameron e Nick Clegg, che oggi hanno entrambi 46 anni, sembravano i due ragazzi che sfidavano il vecchio signore Gordon Brown. Due volti nuovi della politica britannica che, a detta dei conservatori più “realisti”, cavalcavano bene la domanda di rinnovamento da parte dell’opinione pubblica senza forse avere bene in mente sul piano programmatico come superare i problemi del paese che aveva e ha il rapporto deficit/PIL più alto d’Europa.
Nel 2010, un paese come l’Inghilterra, storicamente abituato a un bipolarismo puro tra whighs e tories, si ritrovò con lo schieramento vincitore non in grado, da solo, di formare il governo.
Non mi pare di ricordare l’evocarsi di marce davanti a Westminster. David Cameron (conservatore) e Nick Clegg (liberal democratico) si unirono per formare la maggioranza escludendo i laburisti che avevano governato sino a quel momento. Dopo soli 7 giorni dalle elezioni, il 13 Maggio, l’Inghilterra ebbe il nuovo governo.
A indurmi in questa riflessione è stato l’osservare la faccia di Enrico Letta in una delle tante fotografie disponibili in rete. Mi ha ricordato David Cameron e Nick Clegg. Anche perché con loro ha in comune l’età e tutta una serie di attributi. Il percorso scolastico finalizzato a una carriera politica di alto profilo, la gavetta controllata, l’essere introdotto, il network, le conoscenze influenti, la parlantina facile. L’opportunità di cavalcare “la tirannia del change” anche se con qualche italicismo, mi riferisco ad esempio al privare la moglie del monovolume per darsi un low profile salendo al Colle.
Eppure, malgrado le tantissime analogie, ecco il dettaglio che spariglia. Come il soffio al gioco con le figurine. Osservate la fronte dei tre protagonisti. Letta, Cameron e Clegg. Mentre i leader politici britannici hanno sulla loro fronte, stampigliate, delle rughe, lui Enrico Letta, il futuro primo ministro italiano, non ne ha neanche una. Una fronte liscia, liscissima. Ecco, mi sono detto.

Ecco la differenza. Perché la ruga sulla fronte è come la sezione della terra fatta dai tanti strati di diverso materiale che permette di ricostruire la storia geologica del pianeta. La ruga è il precipitato estetico dell’anima dell’uomo che la possiede. Che ci racconta delle sue ansie, delle sue difficoltà, delle mille battaglie che la tenacia, il suo essere indomito, gli hanno permesso di vincere. La ruga è quello schiaffo non meritato. E’ l’offesa dall’amico. La ruga del premier è il solco in cui confluiscono gli affanni del popolo che governa.

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