Le coltivazioni di oppio in Afghanistan sono cresciute per il terzo anno consecutivo. Non soltanto in aree dove erano già presenti lo scorso anno, ma “anche dove erano state fermate”, scrive l’Ufficio delle Nazioni Unite per la lotta contro la droga e contro il crimine nell’Afghanistan Opium Risk Assessment 2013.
Gli sforzi della comunità internazionale per sradicare il fenomeno si scontrano con l’insicurezza e con l’aumento del prezzo del prodotto che spinge gli agricoltori a cercare guadagni illeciti ma sicuri, favoriti anche dal cattivo raccolto dell’anno scorso, per colpa del maltempo e delle malattie delle piante. Il prezzo, nota il New York Times, è al massimo e decisamente più redditizio rispetto altre colture. Agli agricoltori vanno 203 dollari al chilo contro i 43 centesimo per il grano e 1,25 dollari per il riso.
Il documento dell’Onu prevede aumenti delle coltivazioni in 12 delle 34 province afgane. La situazione “è preoccupante”, soprattutto nelle regioni occidentali, orientali, meridionali e centrali. In particolare quelle dove maggiori sono i rischi per la sicurezza come Kandahar e Helmand, roccheforti dell’insurrezione talebana, o Farah a ovest. I villaggi dove bassi sono i livelli di sicurezza e in cui si è fatta sentire la mancanza di politiche di sostegno all’agricoltura sono quelli che vedranno i maggiori aumenti delle coltivazioni di papavero nel 2013, si legge nel documento.
Soltanto nella provincia di Herat si segnala un trend negativo, mentre le regioni libere dal papavero saranno appena 14, in calo rispetto alle 17 dell’anno scorso e alle 20 del 2010. “La coltivazione dell’oppio è in salita per il terzo anno consecutivo”, ha spiegato Jean-Luc Lemahieu, capo in Afghanistan dell”Unodc,”la produzione si sta dirigendo verso livelli record”.
L’Afghanistan è già il maggiore produttore di oppio al mondo, ha rilevato un rapporto dell’agenzia dello scorso novembre. Se i raccolti andranno come da previsioni l’oppio afgano potrebbe pesare per il 90 per cento sul totale globale. Un dato che deve essere letto guardando al prossimo ritiro delle truppe internazionali dal Paese nel 2014, dopo 12 anni di conflitto, e nell’incertezza sul futuro afgano dopo questa data.