Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi del gruppo Class Editori.
Il mercato dell’auto europeo si prepara a registrare il suo peggior risultato dal 1993. Gli ultimi dati di marzo mostrano un impressionante meno 10% a livello di immatricolazioni nel Vecchio continente. Una caduta che non risparmia nessuno, neppure il big tedesco per antonomasia, la Volkswagen, che ha venduto circa 32 mila auto in meno e accusato un calo del 9,3%.
Un autentico tsunami industriale in un mercato storico dell’automobile mondiale. Provate a immaginare se, in questo ciclo di vendite, la Fiat, cioè il più importante gruppo manifatturiero italiano, si fosse ritrovata con il posizionamento strategico e produttivo precedente all’era di Sergio Marchionne. Se, cioè, il gruppo torinese fosse rimasto staticamente fermo sulle sue gambe, continuando ad avere l’Italia come il suo prevalente centro di interesse industriale, magari aspettando i soliti incentivi o sgravi fiscali.
Oggi la desertificazione dell’auto del Belpaese sarebbe già una realtà nei fatti. Nulla avrebbe potuto, infatti, una Fiat siffatta per navigare nei marosi della peggiore recessione del dopoguerra. Sarebbe stata spazzata via dalla crisi, visto che difficilmente l’Italia, vittima del suo debito pubblico eccessivo e dello spread, avrebbe potuto difenderla con le stesse energie e capacità dimostrate dai francesi per le loro Psa e Renault. La Francia può ancora farsi approvare un aiuto di stato, forse perfino una nazionalizzazione, da Bruxelles, ma all’Italia questa possibilità è oggi preclusa. Quindi, se Marchionne non l’avesse internazionalizzata e spinta verso gli Usa e il Nord America, ora la Fiat sarebbe un ennesimo cimitero industriale della manifattura italiana del ‘900.
Invece l’italo-canadese amministratore delegato di Fiat-Chrysler non ha subito passivamente gli eventi, non si è fatto trovare spiazzato dalla grande crisi. Ha preso dei rischi, come deve fare un manager coraggioso e lungimirante, e si è andato a cercare le quote di mercato lontano dall’Italia. Ha fatto della Fiat non una tradizionale multinazionale, ma un originale gruppo federato dove Usa, Brasile e Italia sono tre centri di governo di tre distinte regioni con tre tipologie di domanda. Certo, oggi è il brand Marchionne che garantisce la tenuta dell’organizzazione federale e che offre a Fiat, anche ai suoi lavoratori e ai suoi stabilimenti italiani, la prospettiva di una luce in fondo al tunnel della crisi, perché, senza il decisionista Sergio, Fiat sarebbe stata già nei libri di storia industriale. Susanna Camusso e la Fiom fanno fatica a capirlo, ma questa è la verità fattuale. Senza Marchionne la recessione avrebbe archiviato l’Italia dell’auto e il pil che ne consegue.