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L’eredità ideale di Margaret Thatcher

“Siamo di fronte ad uno dei più grandi statisti del ventesimo secolo, che lascia un’eredità positiva, dove le luci sono più delle ombre. Non a caso le si deve uno dei pochi “ismi” del 1900. Con Stalin e Reagan, Margaret Thatcher ha fatto nascere un’ideologia, è questa la più grande eredità che ci lascia”. In un’intervista a Formiche.net, Cosimo Magazzino, autore del libro “La politica economica di Margaret Thatcher“, commenta così la scomparsa della Lady di Ferro, all’età di 88 anni.

Lasciò un Paese migliore

“Penso sia indubbio che il Regno Unito del 1990 fosse un paese di grande migliore di quello del 1979, perché quando la Thatcher arriva al Governo vincendo le elezioni di primavera di quell’anno – osserva Magazzino, ricercatore alla facoltà di Scienze Politiche di Roma Tre -. Il Regno Unito era considerato il “malato d’Europa” e l’autunno precedente aveva visto un’ondata di malcontento, scioperi e rivolte popolari”.

Prima dell’arrivo della Thatcher “si erano avvicendati governi conservatori e laburisti che però mettevano in campo quasi le stesse politiche. Il partito laburista aumentava la spesa pubblica e stampava moneta, quello conservatore ricorreva alle stesse politiche ma in misura inferiore. La Thatcher invece cambiò di 360 gradi il Paese”.

Paragoni con Angela Merkel

Giunta al potere, la Lady di ferro mise in atto una riforma “radicale della politica economica del suo Paese. L’austerità della cancelliera tedesca Merkel è figlia di quella, da ‘brava massaia’, di Margaret Thatcher”. In poche parole, spiega Magazzino, “il fatto che non si debba ridurre il debito e che non si debba fondare la crescita sul suo incremento è un’idea di origina thatcheriana, così come il concetto di spendere solo ciò che si ha e della stabilità finanziaria come oggi chiede l’Europa. Un’economia quindi di buon senso, attenta all’equità generazionale”. Un modello di sviluppo che “non vada a vantaggio delle sole generazioni che votano, ossia quelle attuali e a svantaggio di quelle future”.

In quegli anni, di fatti, “il debito pubblico diminuì di 26 punti percentuali, la spesa di almeno 5 ma non calò il gettito. Fu comunque rimodulata la pressione fiscale, riducendo le tasse sul lavoro e sul reddito e spostandole sui consumi”. Quello della Lady di Ferro fu “un esempio di liberismo a tutto tondo, per la prima volta nella storia”.

Il più grande successo

Secondo Magazzino “la signora Thatcher ha vinto soprattutto sul piano delle idee, dimostrando per la prima volta che un’altra ricetta di economia era possibile. Ex-post poi abbiamo capito che non solo quella ricetta era possibile ma era anche giusta. Anche Tony Blair non ha rinnegato le idee della Thatcher definendo la sua politica come un ‘tatcherismo dal volto umano’. Un’influenza esercitata anche in Europa – fa presente Magazzino -, dove non a caso fu indicata come possibile governatore della Bce. Oggi nessuno pensa davvero che si possa crescere incrementando il debito con continue iniezioni di spesa pubblica o facendo crescere fino all’inverosimile lo Stato sociale. Anche i paesi scandinavi hanno rivosto il loro welfare”.

“Inoltre – sottolinea il ricercatore – la Thatcher ha vinto anche in politica estera visto che qualcuno l’ha definita la vera vincitrice della guerra fredda, insieme a Giovanni Paolo II e a Reagan”.

Nessuna macelleria sociale

Magazzino ci tiene a precisare che l’ex primo ministro britannico “non ha mai fatto macelleria sociale, come qualcuno ha raccontato nei film, perché le disuguaglianze non sono aumentate durante i suoi governi. Anzi, l’indice di Gini è aumentato negli anni dei new-labour. Durante il periodo Thatcher “fu ridotta e riqualificata la spesa, fu ridefinito il diritto di sciopero e incrementata la produttività del lavoro”.

Le ombre

Certo non ci sono state solo luci durante i governi Tatcher. La “poll tax”, che colpiva tutta la popolazione, può infatti considerarsi “un’ombra, che però al tempo stesso dimostra la coerenza” della Lady di ferro “insieme alla sua caparbietà e cocciutaggine. Dal punto di vista economico poi si è dimostrato che la poll tax è un’imposta che non distorce il normale funzionamento del mercato. Il problema è che il Paese non era pronto ad accettare un’imposta regressiva che gravava maggiormente sulle fasce più povere e deboli”.

Un’altra critica che “credo vada mossa sta nell’aver posto, in quegli anni, le basi della crescita della ricchezza immateriale, basata sui servizi del terzo settore. Oggi tutta l’economia britannica poggia sulla City e sulle passioni, anche momentanee e irrazionali, del mercato” borsistico “che di per sé è fonte di instabilità non solo per il Regno Unito ma per l’economia mondiale”, conclude Magazzino. 


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