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La politica estera della Cina al test coreano

”Abbiamo richiesto una riunione del Consiglio di sicurezza e chiediamo soprattutto alla Cina, che ha potere sulla Corea del Nord, di intervenire”. Questa la breve dichiarazione fatta oggi dal ministro degli Esteri della Francia, Laurent Fabius, sulla crisi nella penisola coreana. Sempre oggi gli Stati Uniti sono intervenuti in modo analogo. Il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, ha parlato al telefono con il suo omologo cinese, Chang Wanquan. Gli Usa, ha spiegato il portavoce del Pentagono, intendono perseguire una piena cooperazione e un continuo dialogo con la Cina per fermare la ”crescente minaccia” della Corea del Nord.

La dichiarazione francese e l’iniziativa statunitense rischiano di passare sottotraccia in una giornata molto intensa e segnata dalla chiusura, per mano della Corea del Nord, del distretto di Kaesong. Eppure le posizioni espresse dalla Francia e dagli Usa sono di grande interesse: esse aiutano ad accendere i riflettori sul ruolo che la Cina sta avendo, ma ancor di più su quello che potrebbe giocare nei prossimi giorni, nella delicata vicenda coreana.

La Francia e gli Stati Uniti dimostrano la consapevolezza crescente, in molti Paesi occidentali, di come lo status ormai acquisito di grande potenza mondiale stia inevitabilmente spingendo la Cina a cambiare alcuni capisaldi della propria politica estera. Uno di questi cambiamenti, nell’azione di Pechino che sta affrontando il passaggio da potenza regionale a potenza globale, riguarda già da qualche tempo la posizione tenuta nei confronti della Corea del Nord. Negli anni della Guerra fredda la Cina fu il grande protettore di Pyongyang. Non a caso, nel primo vero momento di scontro bipolare, la Guerra di Corea del 1950-53, la Cina scese in campo al fianco dell’alleato nordcoreano. Ma le cose stanno rapidamente cambiando. La Cina è oggi l’indiscussa protagonista dell’economia mondiale. Parte integrante di questo sviluppo è proprio il disgelo nei confronti degli Stati Uniti e dei Paesi asiatici alleati di Washington. Per questo le minacce nordcoreane contro la Corea del Sud e in seconda battuta contro gli stessi Usa e il Giappone (verso cui Pechino rimane comunque opposta sulla vicenda delle contese isole Senkaku) sono giudicate dal governo cinese come un errore e un danno in primo luogo per i propri interessi strategici di carattere sia economico che politico.

I fatti sembrano confermare questa nuova linea di azione da parte cinese. Poco più di un mese e mezzo fa, infatti, la Cina aveva sostenuto le sanzioni internazionali nei confronti della Corea del Nord dopo gli ultimi esperimenti nucleari. E appena ieri la Cina, attraverso il portavoce del ministero degli Esteri, ha espresso “rincrescimento” per la decisione della Corea del Nord di riaprire, come segno tangibile dell’apparente volontà di portare avanti l’escalation della tensione, il reattore nucleare di Yongbyon. “Esortiamo le parti in causa – questo il cuore della dichiarazione cinese – a mantenere la calma, a ritornare al dialogo e alle consultazioni il più presto possibile e a cercare insieme i modi per risolvere la questione in modo appropriato”. Poiché la nuova crisi è stata innescata dalla Corea del Nord, pare evidente che il richiamo cinese sia rivolto, in primo luogo e in modo diretto, al regime di Pyongyang.



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