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Prodi e Monti, la guerra dei professori

I due, si sa, non si amano troppo. O meglio, non condividono troppo, anzi nulla, teorie e prassi. L’uno liberale-liberista, l’altro cattolico sociale. Beninteso, anche Mario Monti come Romano Prodi è cattolico. Ma le differenze ci sono eccome.

Però le diatribe sui filoni del cattolicesimo non sono quelle dirimenti. A far confliggere i due professori sono stati in questi anni le analisi sulla crisi finanziaria e poi economica. E soprattutto la prognosi per guarire dai mali della bolla finanziaria, poi dell’indebitamento statale, quindi dei disavanzi di bilancio.

L’uno, Monti, tetragono nel sostenere come un rigido equilibrio dei conti pubblici in stile Maastricht fosse la premessa indispensabile di una rinnovata crescita. L’altro, Prodi, non ha criminalizzato troppo il debito pubblico e da anni ha stimmatizzato l’enfasi per un rispetto formalistico e periglioso dei rapporti tra deficit statali e prodotto interno lordo.

Insomma l’austero Monti contro il munifico Prodi. Ma la diatriba non è solo teorica ma di prassi, anche contingente. Prodi ha ricevuto il consenso unanime da parte dei grandi elettori del Pd come candidato alla presidenza della Repubblica, avendo anche il sostegno formale di Sel di Nichi Vendola oltre che della componente renziana del Pd.

Ma se si considerano i possibili malumori all’interno del partito – magari di dalemiani fieramente anti Prodi, di renziani poco convinti della strategia di Renzi o di ex popolari delusi della sorte di Marini – il nome di Prodi può avere la meglio solo se Gianroberto Casaleggio convince Beppe Grillo a non irrigidirsi troppo sul nome di Stefano Rodotà.

D’altronde la scarsa sicurezza dei prodiani sulla vittoria del Prof bolognese è testimoniata anche da un incontro chiesto da Ricardo Franco Levi, ex braccio destro di Prodi a Palazzo Chigi, con Monti. Obiettivo: scongiurare il successo del nome proposto da Scelta Civica, il ministro Anna Maria Cancellieri, su cui il Pdl potrebbe convergere scompaginando i progetti prodiani anche se alla quarta votazione il partito berlusconiano ha deciso di votare scheda bianca.


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