Skip to main content

Pyongyang sarà il “fratello minore” della Cina?

Pubblichiamo un articolo del dossier “Corea del Nord: rischio reale o bluff?” dell’Ispi

In questi giorni l’attenzione della comunità internazionale è rivolta verso il Sud-Est asiatico. L’escalation di minacce portata avanti dal neo leader Kim Jong-un, il cui picco è stato raggiunto con il test nucleare di febbraio e seguito da una serie di provocazioni, fa parte della reazione del regime alle sanzioni inflitte dal Consiglio di Sicurezza Onu in seguito al test missilistico del dicembre 2012. Sanzioni che vedono la collaborazione anche della Cina, storico, e unico, alleato della Corea del Nord. Le relazioni diplomatiche tra i due paesi nascono nel lontano ottobre del 1949, quasi in coincidenza con l’ascesa al potere del partito comunista nel territorio. Un’alleanza fraterna il cui rapporto si fonda su una serie di benefici comuni.

Il “Dragone” è il maggior partner commerciale di Pyongyang, il principale fornitore di cibo, armi ed energia, nonché unico attore in grado di esercitare influenza sul paese. Pechino, invece, si è assicurata una strategica zona cuscinetto che tiene lontano le numerose truppe statunitensi dal territorio e una “zona rossa” dal sapore sicuramente più dolce rispetto alla possibile alternativa.

Ma, la bloody brotherhood, che rendeva Pechino e Pyongynag vicini come “lips and teeth”, rischia ormai di diventare scomoda, e una mossa sfavorevole del vecchio compagno porterebbe il regime al più completo isolamento, anticamera del crollo definitivo. Il supporto cinese alla risoluzione Onu, seguito dal blocco di forniture energetiche e dei visti dei lavoratori nordcoreani impiegati in territorio cinese, è solo una parte delle reazioni pechinesi alle manovre di Jong-un.

A ciò bisogna aggiungere le affermazioni che il partito, tramite uno dei suoi principali organi d’informazione, il Global Times, ha rilasciato riguardo possibili provvedimenti in caso di ulteriori test nucleari o minacce; che sono puntualmente arrivate. L’esercito di Pyongyang ha ricevuto direttive per un attacco nucleare alle basi americane ed è stato diramato l’avviso a tutte le ambasciate sul territorio di tenersi pronte a evacuare. Gli occhi della comunità internazionale sono ora puntati sulla Cina, il cui recente cambio di testimone nella dirigenza potrebbe far ipotizzare inversioni di rotta a breve medio termine.

Eterogenee le valutazioni degli analisti. Zhu Feng, professore all’università di Pechino, sostiene che, nonostante la Cina sia lontana dal voler abbandonare l’alleato e perderne l’amicizia strategica, potrebbe però approfittare della questione coreana per rafforzare i legami con Stati Uniti e Corea del Sud. Quest’ultima, infatti, rappresenta uno dei principali partner commerciali del Dragone, che a sua volta ha raggiunto nel 2001 la posizione di primo referente commerciale del sud. Una partnership continuamente sottoposta a tensioni e che potrebbe rafforzarsi a seconda dei comportamenti e della posizione che assumerà la dirigenza cinese verso Pyongyang. Ma la maggior parte dei pareri degli studiosi concorda nell’affermare una continuità nell’andamento della relazione sino-nordcoreana, ossia il mantenimento di un supporto, forse un po’ meno incondizionato, dello scomodo, ma pur sempre, alleato. Non esistono, infatti, elementi sufficienti per affermare che la nuova leadership a Pechino annunci cambiamenti di rotta.

L’interesse primario continua a essere la stabilità nella regione e un crollo del regime porterebbe nefaste conseguenze per la Cina: un enorme flusso di migranti verso la terraferma e la perdita di un’importante zona cuscinetto con forti ripercussioni sulla sicurezza della Repubblica Popolare e sugli equilibri della regione, anche in vista di un eventuale showdown con gli Usa nel Pacifico.

Questo è e rimane il collante principale tra i due stati. Inoltre, da aggiungere c’è il vuoto che Pechino ha creato attorno a sé nella zona del Sud-Est del Pacifico, dove le dispute marittime caratterizzano le relazioni con i paesi dell’area. Le rivendicazioni territoriali nel Mar meridionale hanno inasprito le relazioni con gli stati vicini incrementando l’importanza strategica di Pyongyang.

Un interessante approccio è quello sostenuto da Kim Heung-kyu, professore alla Sungshin Women University di Seul, che sottolinea il cambiamento di prospettiva tra Hu Jintao, ancorato alla visione della Cina come developing country, e Xi Jinping che invece percepisce il paese come una potenza mondiale. Ciò porterebbe a ripercussioni future sull’amicizia sino-nordcoreana che, da paese fratello, potrebbe diventare un fratello minore, costretto a ubbidire e rispettare il volere del “grande”. In quest’ottica, l’adesione cinese alla risoluzione Onu può essere letta come un tentativo di allineamento con le grandi potenze di cui ormai la Cina fa parte. Ciò nonostante, non esiste al momento alcuna chiave di lettura in grado di giustificare un significativo cambiamento nella politica cinese verso Pyongyang, né una netta presa di posizione che porti a sostenere gli obiettivi guerrafondai di quest’ultima. Con ogni probabilità Pechino continuerà a esortare entrambe le parti alla calma e alla ripresa del tavolo dei negoziati, interrotti nel 2009.

Sabella Festa Campanile è giornalista freelance specializzata in sudest asiatico, Msc International Politics, School of Oriental and African Studies, London.


×

Iscriviti alla newsletter