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Caro Renzi, sarai un vero leader solo se uscirai dal Pd

Data l’età, certamente Matteo Renzi ha il tempo dalla sua parte. Allo stesso modo, dopo la sconfitta alle primarie, ha dimostrato coraggio, coerenza e molto acume politico nel mantenere la promessa fatta di “non andarsene con il pallone”, continuando però a stuzzicare il suo partito con dichiarazioni, interviste ed apparizioni televisive.

A proposito di mezzo televisivo, bene ha fatto ad intervenire alla trasmissione Amici di Maria del Filippi, ben consapevole che avrebbe sollevato un’ondata di critiche radical chic del suo partito che considera quella parte di italiani che guarda quel genere di programmi come una sottocategoria di cittadini non meritevoli di far parte del suo bacino elettorale. E poi perdono le elezioni…

Non c’è dubbio che il guascone toscano attiri simpatie anche nello schieramento antagonista e quelle del  suo leader, Silvio Berlusconi che, al contrario di Renzi, ha nella sua età il limite naturale della propria futura leadership. Entrambi sono convinti sostenitori di un sistema democratico bipolare, sul modello delle democrazie anglosassoni. Curioso anche che i due citino spesso Tony Blair e che il leader inglese abbia più volte ribadito non solo l’ amicizia  con il Cavaliere, ma anche la sua stima personale per il politico Berlusconi.

Inutile negare che Renzi e Berlusconi si assomiglino molto. Entrambi giocano con la loro indubbia empatia, naturalmente espressa con capacità comunicativa che trascende il contenuto politico dei rispettivi messaggi e delle loro idee. Sanno raccontare la loro storia, vivono per certi versi in simbiosi con l’umore della gente sapendone cogliere i desideri e le aspettative. In sintesi, entrambi sanno ottenere consenso, indispensabile soprattutto quando si tratta di portare idee e programmi là dove questi possono essere realizzati, ovvero in Parlamento, nelle Istituzioni. Mi pare di dire una banalità e per alcuni intellettuali da salotto suonerà come una affermazione blasfema, ma è la principale dote che deve possedere un leader politico. Altrimenti si è solo un tecnico burocrate, indifferente se  più o meno capace: senza quell’anima indispensabile… poi i risultati si vedono nell’urna.

Tuttavia, trai due grandi attuali comunicatori, c’è anche una grande differenza. Venti anni fa, Berlusconi ha avuto il coraggio e la determinazione di scendere in campo, dopo aver tentato inutilmente di convincere i moderati liberali sopravissuti a Tangentopoli a far fronte comune a una sinistra che si accingeva gioiosamente a prendere la guida del Paese. Ha fondato un partito e li ha battuti. E dopo tutti questi anni, nonostante tutto e tutti, ancora gode del favore di almeno un terzo degli italiani.

Renzi dichiara che non ha nessuna intenzione di uscire dal Pd, di voler proseguire la sua battaglia politica di rinnovamento all’interno del partito. Lungi dal sottoscritto voler dare un suggerimento dicendogli di riconsiderare (diffido sempre da chi dispensa consigli non richiesti), ma credo sia lecito porsi la domanda se il Matteo abbia ben valutato la situazione, ovvero l’apparato granito di partito che regge il suo campo di battaglia e, soprattutto, pesato bene gli azionisti di maggioranza, nonché i vecchi e nuovi burocrati statalisti di cui è colmo il Partito Democratico.

Il fattore tempo, dicevamo, gioca a favore del Matteo. Attenzione però a non parametrare l’azione  su di un arco temporale troppo lungo che rischia di renderla ininfluente rispetto alle esigenze del Paese, dato che è presumibile un ritorno al voto a breve.

Infine, caro Matteo, è bene aver sempre chiaro che il consenso, per tradurlo in successo, deve essere colto al suo apice, prima che possa essere minato da un altro fattore, quello riconducibile al carattere estremamente volubile di noi italiani che, è noto, da sempre osanniamo e critichiamo i nostri campioni con terribile passione.


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