Telecom Italia finisce sotto lo sguardo degli analisti dopo che il cda che ha dato mandato al presidente del gruppo, Franco Bernabè, affiancato da un comitato di 4 consiglieri, di esaminare in tempi stretti la fattibilità di una possibile integrazione con 3 Italia e contemporaneamente ha rilanciato il progetto di scorporo della rete. Nell’ambito di un’eventuale fusione di 3 in Telecom, l’azionista cinese Hutchinson Whampoa ha posto come condizione quella di divenire l’azionista di riferimento del gruppo guidato da Franco Bernabè.
L’analisi del Sole 24 Ore sullo spin-off della rete
I progetti di Bernabè sull’operazione con Hutchinson Whampoa e sullo spin-off della rete per il Sole 24 Ore darebbero vita ad “un impopolare spezzatino buono solo per la Borsa”. Telecom, spiega nell’articolo Antonella Olivieri, ha ribadito di voler andare nella direzione dello scorporo della rete, indipendentemente dalle trattative con Cdp (che in questo momento è in fase di rinnovo dei vertici). Il consiglio ha chiesto al management di formulare una valutazione economica del tratto di rete che si vorrebbe conferire alla newco che ancora non è stata presentata al board e ha quindi ‘deliberato di dare mandato al management a definire il percorso operativo di fattibilità per la separazione della rete di accesso’. Di fatto, lo scorporo della rete sgancerebbe potenzialmente dal perimetro la parte più ‘sensibile’ degli asset, ma questo, a quanto risulta, non scoraggerebbe l’interesse di H3G”.
La rete alla Cdp, 3 Italia a Li Ka Shing
“Poiché – prosegue l’analisi del Sole – non è plausibile, e nemmeno i cinesi se lo aspettavano, che la rete fissa, asset strategico, possa cambiare bandiera, Telecom ha accelerato infatti sulla procedura di scorporo dell’infrastruttura per la quale da un anno è in trattativa con Cdp. Ma Cdp, che fa capo al Tesoro, difficilmente si troverebbe a suo agio in posizione di azionista di minoranza di una società controllata da un gruppo che risponde a Hong Kong. Così lo spezzatino, con lo sganciamento della rete che tornerebbe pubblica, diventerebbe lo scenario più probabile. La rete allo Stato, i telefonini ai cinesi”.
La Cdp salva-rete secondo Il Fatto Quotidiano
Positiva la valutazione che del passaggio della rete a Cdp dà il Fatto Quotidiano. “Si dà mandato al management di ‘definire il percorso operativo di fattibilità per la separazione della rete di accesso’. Traduzione: per evitare che un giorno il cinese fallisca e qualcuno stacchi il telefono alla Penisola intera, si porta la rete fisica in salvo dentro Cassa Depositi e Prestiti, l’ultima cassaforte statale rimasta. Insomma si rinazionalizza, in una qualche forma de definire, la rete telefonica. E così si chiude il cerchio di devastazione iniziato con la privatizzazione del 1997”, spiega Giorgio Meletti.
Bernabè succube del cda secondo il Sole
Ma il Sole e il Fatto danno letture diverse anche della situazione in cui si è trovato ieri Bernabè e dei contrasti con i grandi azionisti. “Si aspettava un mandato esplorativo per approfondire i contatti con i cinesi di Hutchinson Whampoa nel giro di 3-4 mesi. Ha dovuto incassare, a sorpresa, l’istituzione di un comitato tecnico che lo affiancherà in questi approfondimenti da chiudere in tempi molto più stretti, si parla di 2 o 3 settimane. Bernabè – dicono – è rimasto spiazzato. Sarà infatti un comitato ristretto composto oltre che da due indipendenti (Luigi Zingales e Elio Catania), dai rappresentanti del primo azionista italiano di Telco, Generali (Gabriele Galateri di Genola), e dal primo socio straniero, Telefonica (Julio Linares) a dire l’ultima parola su un progetto che, allo stato attuale, sembra vedere Telco piuttosto fredda”, prosegue Olivieri sul Sole.
Le critiche degli azionisti di Telco a Bernabè
“L’ipotesi 3 – prosegue – vede comunque freddi gli azionisti Telco, compresa Telefonica. Da parte degli esponenti spagnoli si è registrato un intervento molto critico sull’andamento dell’azienda e in particolare sul trend dell’Ebitda, mentre la posizione su 3 Italia resta scettica, considerato che il quarto operatore mobile continua a bruciare cassa e non ha mai chiuso un bilancio in utile”.
Il Sole boccia l’operazione con Li Ka Shing
“Se l’ipotesi di integrazione con 3 Italia andasse avanti sul percorso delineato da Hutchinson Whampoa, non sarebbe Telecom a rilevare 3, bensì H3G a rilevare Telecom”, spiega Olivieri.
Il controllo di Telecom è prezzato dai cinesi quanto il più piccolo degli operatori mobili del mercato (per di più in perdita dalla nascita) più quei 2 miliardi che servirebbero a rilevare le quote degli italiani di Telco al prezzo di carico che è il doppio delle quotazioni di Borsa”.
Il punto chiave su cui i soci Telco si sono più volte confrontati con un inevitabile aumento del pressing nei confronti di Bernabè è quello della criticità della gestione. “L’erosione della marginalità, la mancanza di un progetto industriale di ampio respiro e più proiettato fuori dai confini nazionali e le quotazioni di Borsa sono i tre elementi chiave che vengono sollevati all’attuale gestione. Per gli azionisti, è opinione unanime, serve un deciso cambio di passo in termini di strategia. Ma da qui a dire che H3g sia la soluzione, ce ne passa”, conclude il Sole 24 Ore.
L’ok del Fatto a Hutchinson
E invece quella dell’operazione con Hutchinson Whampoa potrebbe davvero essere un traguardo positivo per Giorgio Meletti del Fatto, che dà il passaggio già per scontato. “Bernabè, se tutto va bene, risolverà un problema che per Mediobanca e soci sta diventando drammatico. Nel 2007, per salvaguardare (così allora dicevano) l’italianità di Telecom Italia, acquistarono dalla Pirelli di Marco Tronchetti le azioni Telecom a 2,82 l’una, mentre in Borsa valevano 2,2. Solo che stavolta, dopo aver fatto felice Tronchetti (azionista di Mediobanca e cliente di Mediobanca e Intesa) le nostre banche sono rimaste con il cerino in mano”.
L’affare dei grandi azionisti
“Hanno comprato Telecom pochi mesi prima della grande crisi – sottolinea Meletti – investendo per il 22,5 per cento delle azioni circa 8 miliardi di euro. Oggi tutte le azioni di Telecom valgono 8 miliardi, e quelle di Telco 1,8 miliardi. Cioè Telco ha perso in 6 anni l’80 per cento dell’investimento. Adesso deve salvare il salvabile. Visto che il cinese ha detto che vuole il 29,9 per cento di Telecom Italia (non un’azione in più sennò dovrebbe dare qualcosa anche agli azionisti di minoranza, Dio ne scampi) i nostri grandi banchieri sono pronti a vendere a 1,2 euro le azioni che valgono in Borsa 60 centesimi. Sì, il doppio del valore di mercato. La differenza si chiama premio di maggioranza”, osserva.
Il ruolo delle banche
E del resto “Telco ha 3,3 miliardi di debiti, fatti per comprare le azioni con banche brillanti come Mps: se non prende dal cinese quei 3,6 miliardi, rivenienti dal prezzo unitario di 1,2 euro per ciascuna delle circa 3 miliardi di azioni possedute, Telco porta i libri in tribunale, e qualcuno deve dire a Mps che ha perso i suoi crediti (oltre 600 milioni) anche con Mediobanca, Intesa e loro consimili blasoni”, conclude Meletti.