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Se la Thatcher non piace alla sinistra cialtrona

Un baldanzoso, cosmopolita esercito di disinvolti dilapidatori di beni pubblici la propose, nell’immaginario collettivo, come la donna del rigore economico esasperato che si traduceva nell’ideologia del Male assoluto che schiacciava senza pietà le misere povertà del mondo. Lei, Margaret Thatcher, cui un giorno un giornale sovietico affibbiò l’epiteto di lady di ferro per la sua fermezza anticomunista impressa alla politica occidentale in un periodo decisivo per la storia del mondo – gli anni Ottanta del Novecento – non se ne rabbuiava. Al contrario, tenne dritta la barra della sua navigazione politica, non curandosi di avversari che cercavano di offenderla e, invece, ne consolidavano la fama di condottiera indomita di popoli appassionati di democrazia.

Margaret era la leader del partito Tory dei conservatori britannici. E, come il suo predecessore Winston Churchill che, a Fulton, aveva denunciato la pericolosità di un espansionismo sovietico non meno feroce del socialnazionalismo di Hitler, sollecitò anch’essa una difesa comune delle democrazie occidentali che, con tutte le loro pecche e manchevolezze, restano il modello più accettabile e rappresentativo del pluralismo politico e sociale per tutti i continenti. Come Churchill mobilitò l’Occidente, anche nei suoi settori più recalcitranti e pacifico-neutralisti irrealisti, la Thatcher fu decisiva nel contrastare e bloccare l’imperialismo sovietico alleandosi coi repubblicani del presidente Reagan: non con le bombe nucleari, bensì mettendo a nudo le contraddizioni del socialismo reale sino a portarlo al fallimento e alla caduta del Muro di Berlino, che ne segnò la disgregazione storica.

Nella sua lunga vita, benché ultimamente mutilata della sua intelligenza causa un ictus che l’aveva irreversibilmente colpita, diede del filo da torcere agli uomini del suo partito; sbaragliandoli uno ad uno sistematicamente; mettendo in ombra personalità come Edward Heath, leader conservatore; diventando primo ministro del Regno Unito dal maggio 1979 al novembre 1990, undici anni abbondanti sui quali la signora forte della democrazia britannica lasciò il personale segno che porta il nome di thatcherismo: quella miscela di conservatorismo e liberismo, osteggiata da tutte le correnti politiche più popolari della terra che, però, non riuscirono a negare che la grande signora della politica britannica s’impegnò a rovesciare il declino economico che investì il Regno Unito e restituirgli quel ruolo di prim’ordine ch’esso aveva avuto nel panorama internazionale per secoli.

Lo straordinario amore ch’ella ebbe per la sua patria, per le sue tradizioni, per la sua lingua aveva un corrispettivo nella grandeur di Charles de Gaulle nella Francia postbellica. Solo che la Thatcher tenne alto il nome e l’onore dell’Inghilterra in una fase storica più risolutiva dei grandi confronti internazionali fra sistemi contrapposti: il democratico-liberista dell’Occidente verso il dittatoriale-comu¬nistico dell’Oriente, due mondi non destinati a fondersi, ma almeno a comprendersi e a collaborare.

Coniugato col reaganismo, il thatcherismo informò l’Occidente estendendo allo stesso Oriente una maggiore considerazione per i beni collettivi. Certo nelle università occidentali il thatcherismo incontrò più denigratori che amici; la politologia astratta, coi suoi cascami pseudo-progressisti e in realtà reazionari, battezzò il thatcherismo e il reaganismo come due imbuti nei quali s’erano infilate le economie occidentali dimenticando le attese delle grandi forze popolari. Ma la sostanza concreta fu diversa.

Margaret fu anche vittima di un attentato terroristico irlandese, col quale, però, si tesero a eliminare la fermezza inglese e la resistenza del Regno Unito, non la fiscalista del Lincolnshire, protestante metodista, non amata dai baroni universitari (lei insignita del titolo nobiliare di baronessa di Kesteven), ma che seppe fare innamorare di sé il popolo, secondo il luogocomunismo ritenuto di sinistra.

La definizione di “ultima rivoluzionaria”, che di lei s’è data nel giorno della morte, può sembrare forzata. Impresentabile secondo una sinistra cialtrona e radicalchic, in Europa e in Italia, la Thatcher fu in realtà una grande politica che puntava sul futuro: non confidando nelle masse imbottite di pregiudizi, ma su individui, su persone responsabili e libere, come si conviene ad una società che voglia crescere e non limitarsi all’irresponsabile lamento.

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